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La “Medea” di Lavia al Teatro della Pergola

La passionalità che prevarica la Ragione

 

DALL’ANTICA GRECIA AI GIORNI NOSTRI

 

Un classico della tragedia greca di Euripide, grande conosciutore della psicologia e della condizione umana che ha portato un messaggio innovatore: spostare il fulcro del pathos dal dio all’uomo.

Per la prima volta il conflitto si sviluppa dentro un animo solo: è lei Medea che da sola, barbara e abbandonata, si dilania negli opposti sentimenti, tra razionalità e passione. Manca l’antagonista, Giasone è una figura sbiadita, borghese, opportunista, non un uomo degno di spessore eroico a cui mancano tutti i valori morali dell’eroe.

L’aspetto religioso è assente, il famoso deus ex machina non interviene nella tragedia di Medea trascinata verso un tragico climax.

Il Maestro Lavia sviluppa al massimo le potenzialità di introspezione della figura di Medea, togliendole ogni velleità divina. Una Medea con la pelle e il cuore di donna, accecata dalla passione, masochismo femminile nell’autodistruzione del suo essere madre.

 

TRAMA

 

Medea e Giasone si trasferiscono a Corinto, insieme ai due figli.

Medea è un nomen omen e significa “Maga”, l’origine è da ricercare nel verbo  medèomai, curare con intrugli magici; infatti lei prepara per Giasone il farmaco per addormentare il drago custode del vello d’oro; quindi, è solo grazie a lei che l’impresa si compie.

Lei è la barbara donna che tradisce la sua gente, suo padre, e uccide il fratello Ipsirto per inseguire il suo amore con Giasone. La grandezza sta nella potenza della sua irrazionalità che la travolge senza freni, lei è puro istinto e  furore, lei è corpo che ama fino alla distruzione.

Giasone mostra il suo essere meschino, uomo di interesse e opportunismo, freddo calcolatore per la ricerca di un benessere economico e di appannaggio, privo di passione sentimentale. Egli è talmente ristretto mentalemente che NON prevede quale potrebbe essere la reazione della moglie, infatti ripudia Medea per sposare la figlia di Creonte, re di Corinto; il che gli da diritto di successione al trono.

Medea è sempre la straniera per eccellezza, non si è mai integrata nell’ambiente che la ospita, dove tutti sospettano di lei in quanto straniera e dotata di una sapienza che fa paura (la magia).

La tragedia prende corpo dentro il suo animo ed è straordinario: lei, barbara, è l’eroina, mentre il greco Giasone è l’ombra di se stesso.

Lui sa opporre solo convenienti ragionamenti per motivare la sua scelta, mentre Medea con ardore si lamenta col coro delle donne.

Creonte, che sospetta una vendetta, le ordina la lasciare la città.

Ella finge di scendere a compromessi, ottiene di rimanere un giorno: le servirà per realizzare la sua vendetta.

In un colloquio drammatico con Giasone, Medea decide di infliggere al traditore una terribile vendetta.

Razionalità e passione, tutto ruota intorno a questi due sentimenti. Medea si sente frustrata nella sua sessualità di donna e amante, ordisce la vendetta perchè è consapevole della sua forza intellettuale, e vuole farsi giustizia proprio perchè sente che il “giusto” ordine le è venuto meno.

Medea genera un progetto fatale contro ciò che ha generato lei stessa.

Per vendicarsi di Giasone annienterà ciò che ha di più grande: i suoi figli.

Manda quindi i figli dalla principessa con in dono una corona e una veste avvelenate. La futura sposa indossatele, muore in fiamme tra atroci dolori, insieme al padre Creonte che tenta di salvarla.  

I bambini sono mute vittime sacrificali.  Medea li uccide con le proprie mani.

Vendetta per affermare la dignità di donna e dimostrazione che l’uomo, che è privo dei suoi dei, è arteficie del suo destino. O della sua distruzione.

 

CORPO E LINGUAGGIO NEL TEATRO DI LAVIA

 

Il sipario è già aperto su un allestimento minimale, geometricamente ferfetto, pannelli di ferro arrugginto diventano le pareti che delineano la scena. Un ambiente ameno, ormai corroso come la Passione ha corroso l’animo di Medea. Un tavolo e due sedie a misura di uomo per la servitù. Un letto che più che un talamo d’amore ricorda una prigione d’isolamento. Letto che diventerà anche altera sul quale Medea sacrifica i figli in nome della sua vendetta.

Luci e suoni, ora netti ora morbidi. E acqua. Tanta acqua che sgorga dal ferro arrugginito e ossidato: un rubinetto per raffreddare l’animo di Medea in preda al delirio, per spengere l’arsione del suo corpo, un lavandino per rimbellettare il volto di Giasone, un secchio per compiere la magia, e infine una doccia per lavare via dal corpo nudo di Medea ogni pensiero di colpa e di morte.

La sceografia è di Alessandro Camera.

I colori sono il bianco del coro di donne e il nero, ampi lembi di tessuto avvolgono i corpi degli attori in scena. La coperta/mantello di Medea è il fulcro della situazione: rosso e nero, simbolo del suo vivere.

I costumi sono opera di Alessio Zero.

 

STRANIERA, LA TERRA E LA DONNA.

 

La Medea messa in scena da Lavia è lo studio di una passione reso concreto attraverso la presenza fisica di un corpo di attrice. Sublime è la presenza sulla scena, anima e corpo, di Federica Di Martino che attraverso il suo corpo asciutto esprime la tensione nervosa della passione, un insieme di nervi e muscoli dimenticando le tracce di una sensualità femminile che ora Non serve. I suoi gesti essenziali passano dal sussurro all’alto grido tragico, dall’oscillare e trascinare il corpo privo di vita  fino a scatti di agilità e velocità, un correre forsennato in preda alla follia. La sua espressività arriva, e i suoi silenzi sono pesanti monologhi di pensieri che fanno rumore. Tutto questo racchiude una meravigliosa prova di bravura,

Simone Toni, nei panni di Giasone, invece delude un po’, calato sul palcoscenico recita la parte e a tratti vuole dare un taglio ironico a questo personaggio con toni di voce e gestualità da superficiale.

Il coro delle donne corinzie  NON esce mai dalla scena, composto da quattordici giovani ragazze, aleggia e si muove come una nuvola spinta dal vento dei repentini caMbi d’umore dei personaggi. Un coro che ragiona e cerca di far ragionare Medea senza però assoggettarsi al pensiero maschile ma restando coese nel ricercare una giustizia.

La figura di Creonte ha una giusta dose rozzezza grazie al lavoro di Giorgio Crisafi.

La nutrice ( Angiola Baggi), il precettore e il messaggero rivestano i panni dell’umiltà che però è pensante e sensibile.

Una Medea antica e contemporanea, una rilettura del testo e un adattamento per contestualizzare questa donna ai giorni nostri. Infatti lo spazio e il tempo sono eterni. Una donna a cui viene tolta ogni traccia di divino e le resta il corpo e l’anima di una donna tradita. Medea è prima di tutto Donna, poi madre e poi moglie di un matrimonio difficile tra culture lontane e diverse, che fin quando c’è stata complicità e amore veleggiava, quando è sparita l’intesa NON c’è stato nessun comune denomintore che potesse reggere questa unione.

I dialoghi in prosa sono attuali, quelli di qualunque coppia in procinto di sperazione, dove si rinfaccia e si sottolinea ogni carenza e ogni dolore provocato, andando a scavare indietro nella memoria. Questa Medea evidenzia tutti i lati deboli che la società dell’occidente (la nostra e quella dei Greci) vuole mantenere: l’ostracismo verso chi è straniero, la superiorità dell’uomo sulla donna (Giasone le vuole portare via i figli o comunque le propone un mantinimento), l’attualissimo concetto di famiglia allargata, la mentalità borghese della tranquillità economica a discapito dell’essere, la moderazione e il compromesso ai quali Medea NON vuole essere assoggetata.

Alla fine l’animo dello spettatore, dopo tanta tragedia e tragico dolore, si sente vicino a Medea, per un attimo sembra quasi plausibile la scelta di Medea perchè va a toccare quelle corde animalesche dell’animo umano, prive del rivestimento razionale e sociale. E la bellezza di questa tragedia riside nella sua eterna lettura , chi ha detto che ciò che è passato NON abbia un risvolto attuale? Dopotutto è dal passato che si conosce il presente.

 

La tensione svanisce a conclusione con un lunghissimo applauso rivolto agli attori e al Maestro Lavia che sale sul palcoscenico.
Lo spettacolo è una produzione della Fondazione Teatro della Toscana.