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Il palazzetto di Viseu in Portogallo si è tinto di blu. La prima edizione dei mondiali di calcio a 5 Fifds riservato a ragazzi con sindrome di Down ha visto trionfare gli azzurri della nazionale Fisdir guidati dal referente tecnico Signoretto. Grazie all’impegno, la costanza e la tenacia di questi atleti l’Italia è nuovamente campione del mondo!

Intervista al Referente Tecnico Fisdir Roberto Signoretto

Mister, un anno fa ai Trisome Games di Firenze avete conquistato la medaglia d’oro, oggi avete vinto la prima edizione dei mondiali di calcio Fifds. Qual è stato il percorso che vi ha permesso di realizzare questi importanti traguardi?

Il lavoro con questi ragazzi è iniziato diversi anni fa, a partire dal 2008, quando le prime sperimentazioni di gruppi calcistici formati da soli ragazzi Down, come ulteriore proposta calcistica e non come attività fine a se stessa, si intravide in Italia. Da li il percorso è divenuto continuativo con almeno un appuntamento all’anno denominato Torneo delle Regioni, manifestazione riservata a rappresentative regionali di atleti Down, oltre alla continua partecipazione dei ragazzi anche ad altre attività di club. Ciò ci ha permesso di farci trovare pronti all’apertura del circuito internazionale proposto lo scorso anno dalla SU-DS, la Sport Union for Athletes with Down Syndrome, organismo internazionale che si occupa di gestire e sviluppare lo sport riservato ad atleti Down.

Vincere i mondiali che emozioni ha generato in Lei e nei ragazzi?

Sicuramente una grande soddisfazione per aver ottenuto un traguardo importantissimo. Dopo trent’anni di vita vissuta sui campi di calcio di numerose città e paesi d’Italia oltre che dopo molte trasferte internazionali, questo per me rappresenta un importante momento sportivo; per i ragazzi la gioia di aver portato il tricolore a sventolare sul gradino più alto e l’aver potuto condividere la gioia di un gruppo che ha lavorato nei raduni ed è divenuto quasi come una famiglia credo sia la massima soddisfazione.

Come tutti gli allenatori per creare gioco di squadra immagino abbia dovuto superare delle difficoltà. Può descriverci quali e come ci è riuscito?

La difficoltà più grande che si deve affrontare con questi atleti nasce dalla loro innata voglia di far tutto da soli, che in uno sport di squadra complica di molto le dinamiche degli incontri, ma che dopo ore ed ore di allenamento si è riusciti a contenere e a veicolare nel modo giusto al punto che in alcuni momenti dell’ultima competizione il quintetto in campo riusciva anche a gestire in autonomia l’incontro senza il supporto del mister dalla panchina.

Che importanza riveste lo sport ed in particolare la disciplina calcistica nella crescita e nella formazione dei suoi atleti?

Oggi fortunatamente le persone in condizione di disagio sono mediamente ben inserite nel tessuto sociale, a differenza di trent’anni fa quando la sfida più grande nasceva dal fatto che a questi ragazzi era preclusa l’attività sportiva. Di conseguenza positività e negatività di un’attività sportiva sono identiche a quelle dei normodotati: se l’attività stessa è utilizzata come strumento per la crescita umana i risultati saranno importanti, se l’unico metro di misura è basato sul risultato della competizione e sull’entità del compenso che questo farà percepire i risultati saranno scarsi. È fondamentale quindi che lo staff tecnico sappia che prima di vincere un confronto bisogna insegnare ai propri atleti a vincere contro i propri limiti.

A suo giudizio, quale potrà essere l’evoluzione del settore calcistico riservato ad atleti con sindrome di Down dopo i risultati raggiunti?

Personalmente mi auguro che dopo questi importanti traguardi tutta l’opinione pubblica comprenda che queste persone hanno faticato molto per raggiungere questo obbiettivo, proprio come succede nello sport sano e corretto e che tutti capiscano che questo risultato è solo la punta di un iceberg, un immenso movimento di persone che ogni settimana fanno sport e cercano di vincere contro le difficoltà del quotidiano senza chiedere nulla ma dimostrando che l’attività sportiva fa bene e fa bene a tutti. Di conseguenza mi auguro che le porte dei programmi televisivi o le pagine dei giornali non si accendano solo per i campioni del mondo ma lo facciano più spesso anche per chi campione del mondo non potrà mai esserlo sulla carta ma lo è ogni giorno nel vincere la propria disabilità.

E con la nazionale quali saranno i prossimi appuntamenti?

Da adesso inizieranno le nuove selezioni per andare a comporre il gruppo che nel 2018 disputerà gli europei, organizzati in Italia molto probabilmente in autunno, ed il percorso continuerà con le stesse modalità verso i nuovi mondiali del 2019 in Brasile e per chiudere il quadriennio con i Trisome Games 2020. Ci auguriamo di poter continuare in questo lungo percorso al fianco di persone che tramite questa attività son divenute giganti di vita prima che campioni del mondo.