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In occasione del loro cinquantesimo anniversario, i Jethro Tull ammaliano il Musart festival di Firenze

Martedì 24 Luglio, Firenze. Sono le 21:15 in Piazza Santissima Annunziata. Vi è un televisore, di quei vecchi televisori in legno, risalenti agli anni ’50 o ’60. All’improvviso il televisore si accende, fatica un po’ a prendere il segnale (com’è normale per televisori così antichi) con i classici puntini bianchi e neri che si muovono freneticamente sullo schermo, poi appaiono le prime immagini, immagini risalenti agli anni ’60 o ’70.

Immagini di un gruppo musicale destinato a rinnovare profondamente la musica rock, contaminandola con suggestioni blues e folk, un suono di flauto in sottofondo, sono i Jethro Tull. La formazione totalmente rinnovata, dal 1967 fino ad oggi è cambiata spesso, ma una è rimasta la costante. Ian Anderson, uno dei front-man più carismatici che la musica rock internazionale abbia conosciuto. Un polistrumentista geniale ed ecclettico. Un istrione, folle ed ironico allo stesso tempo. I Jethro Tull, riunitisi solo l’anno scorso, si esibiscono per festeggiare il loro cinquantesimo anniversario.

I Jethro Tull

Facciamo un salto indietro nel tempo. Siamo nel 1971. Immaginiamo di essere un giovane, magari un musicista in erba, che entra nel negozio di dischi più vicino. A colpirci sarebbe stata la copertina di un LP in vinile. La copertina è caratterizzata da un bell’acquerello dell’artista Burton Silverman, che raffigura un clochard con la barba ed i capelli lunghi, vestito con abiti trasandati, che guarda di fronte a se con un’espressione crudele. Vicino a lui vi è un cartellone che reclamizza vacanze natalizie in una località sciistica delle Highlands scozzesi.

Come si chiama questo inquietante personaggio? Come una marca di respiratori subacquei: Aqualung. Cosa fa Aqualung? Lo dice nell’omonima canzone che dà anche il titolo all’album, un brano di 6 minuti nel quale si alternano sonorità folk rock, melodie più vicine alla musica classica a veri e propri assoli acustici: vive in mezzo ai rifiuti e alla sporcizia, importuna le ragazzine e sputa su chi cerca di dargli una mano.

La tournée italiana: Aqualung sul palco

Immaginiamo ora che, dopo aver ascoltato quell’album più e più volte e poi aver approfondito quel gruppo così originale, che fa un uso così ampio del flauto, venga annunciata la tournèe italiana.

Davanti a noi un palco buio, con qualche luce soffusa. Entrano alcune ombre, sistemano gli amplificatori e cominciano a provare il volume dei loro strumenti (batteria, basso, tastiera). Poi fa il suo ingresso un’altra figura. Una figura diversa. Trasandata, con una barba folta e ispida. Questa si aggira per il palco, con movimenti selvaggi, guarda noi e guarda il pubblico con gli occhi allucinati di un pazzo. Quel volto, quell’espressione. E’ proprio lui, è Aqualung. Con una mano agita il suo flauto traverso come se fosse lo scettro di un re o di un imperatore e poi la musica esplode, le luci si accendono e lui comincia a raccontarci la sua storia. La storia di un ultimo, di un reietto. Che in fondo è un po’anche la nostra storia.

Poi si trasforma. Non è più Aqualung. Ora è il folle pifferaio di Hamelin, che ci doma come se noi fossimo i suoi topi, che si aggira furtivo ipnotizzandoci con il suono del suo flauto. Poi si ferma, in mezzo al palco, solleva una gamba e la piega in modo che il piede tocchi il ginocchio della gamba rimasta a terra e continua a suonare. Suona il flauto in modo struggente ed appassionato, come a volerne assorbire una qualche linfa vitale, in un brano strumentale che si intitola Bourée.

In realtà quello non è né Aqualung né il pifferaio magico. In realtà è entrambi. Lui è Ian Anderson e quelli sono i Jethro Tull.

Il gruppo è nato tra il 1967 e il 1968, fondato da Ian Anderson e dal chitarrista e cantante Mick Abrahams e inizialmente fa solo blues, come ogni gruppo rock di quegli anni. Poi sperimenta: rock progressive, rock blues e poi rock folk. Cambiano vari nomi e poi arrivano a Jethro Tull, in onore di un agronomo inglese, vissuto nel ‘700, pioniere della moderna agricoltura.

Il concerto

Torniamo al concerto di ieri. Mercoledì 24 Febbraio, in Piazza Santissima Annunziata, a Firenze. I Jethro Tull, riunitisi l’anno scorso, festeggiano cinquant’anni di attività. Lo fanno coinvolgendoci in un concerto che non è solo un concerto. E’ anche un viaggio nel tempo e nella storia della musica rock, e anche un’esperienza sensoriale.

Sentiamo l’odore dell’erba bagnata e il rumore degli zoccoli dei cavalli che trascinano un aratro (in Heavy horses), sentiamo in lontananza l’avvicinarsi di una locomotiva a vapore e respiriamo l’odore acre e pungente del fumo che emette (in Locomotive Breath) e ci troviamo a camminare all’interno di una cattedrale, inebriati dall’odore delle candele e dell’incenso (in My God), veniamo travolti dalla puzza di sporcizia e di rifiuti che emanano i vestiti logori di Aqualung e dalla sua voce un po’nasale e un po’tagliente (appunto in Aqualung).

A questa esperienza si alternano i saluti e gli omaggi di alcune leggende del rock: da Joe Bonamassa a Tony Iommi (chitarrista e fondatore dei Black Sabbath), da Slash (ex chitarrista dei Guns N’ Roses e dei Velvet Revolver) fino a due componenti storici dei Jethro Tull: il tastierista John Evans e il bassista Jeffrey Hammond. Tutti che salutano il gruppo e gli fanno il loro augurio e chiedono l’esecuzione del loro brano preferito.

La vera leggenda è lui: Ian Anderson

Ma la vera leggenda, quella che ieri ha ammaliato il pubblico in Piazza Santissima Annunziata in occasione del Musart Festival, è lui: Ian Anderson. Oramai con pochi capelli e con la barba più rada ed ordinata. Non più vestito in modo trasandato e con una lunga palandrana, ma con una camicia bianca ed un gilet gessato.

Un musicista a 360 gradi, un genio poliedrico capace di passare dall’armonica a bocca alla chitarra folk, anche se il suo strumento preferito rimane il suo inseparabile flauto traverso, che non lo lascia mai e che continua ad agitare, muovendosi sul palco, con la potenza e la solennità di un re o un imperatore.

Ha 71 anni Ian Anderson, 72 il prossimo 10 Agosto. E’ ancora l’istrione che riesce a tirare fuori la rabbia di Aqualung e che poi si trasforma nel pifferaio magico, con Bourée, saltellando furtivamente per il palco e poi fermandosi nella posizione del cigno, con la gamba piegata ed il piede che tocca il ginocchio della gamba rimasta a terra; poi si trasforma in uno spirito danzante della tradizione pagana (un fauno o un satiro) che accompagnandoci con il dolce suono del suo flauto ci conduce all’interno di una cattedrale cristiana in My God; si trasforma ancora (da carismatico istrione quale è) e diventa un allegro giullare alla corte di re Enrico VIII in Pastime with Good Company.

In mezzo a tutto questo vi è la cosa più bella. Un insieme di generazioni diverse i figli insieme ai padri, quei ragazzi che magari nel 1971 si erano trovati difronte l’espressione truce di Aqualung. Un segnale questo, che Ian Anderson e i Jethro Tull sono, ormai una leggenda e come ogni leggenda sono diventati immortali.