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Franco Fortini e la bellezza di Firenze: Sestina a Firenze.

È parte dell’esperienza di ogni fiorentino che si trovi a viaggiare per lavoro, studio o svago in Europa o nel mondo vivere quel momento, subito dopo una presentazione, quando ci viene chiesto qual è la nostra città: «Firenze! Che bello! Sei proprio fortunato». E subito dopo aver capito che forse siamo stati traditi ancora una volta dalle nostre ‘c’ aspirate o dal nostro modo di fare, ci prende una sensazione strana, un misto di soddisfatto orgoglio e di segreto fastidio, tutto fiorentino. Quasi che fossimo, sì, consapevoli della fortuna che abbiamo ad essere cresciuti e a vivere in un posto tanto eccezionale e tanto famoso per la sua bellezza, ma allo stesso tempo anche un po’ infastiditi da questo luogo comune, irritati dal fatto che serva ancora una volta dirlo, che Firenze è bella.

«Da dove vieni?»

È talmente banale associare l’idea di Firenze a quella della bellezza che sembra inutile sentirselo ridire, quasi che, secondo noi fiorentini, dovrebbe essere un privilegio soltanto nostro celebrare la città. E forse è proprio per questo che in fondo, un po’ ci irritano tutti coloro che vengono da fuori e che pretendono di aver conosciuto la bellezza autentica Firenze, scattando solo qualche foto qua e là, visitando qualche museo o monumento. Ma come si può veramente dire la bellezza di Firenze?

Come si può veramente dire la bellezza di Firenze?

Nei secoli della storia della nostra città alcune donne e alcuni uomini, spesso ma non sempre fiorentini, hanno provato a chiederselo fino in fondo: spesso ne hanno parlato, solo qualche volta ne hanno scritto, ma, quando lo hanno fatto, hanno regalato a Firenze parole autentiche, modi diversi di guardare la città, chiavi per aprirne il segreto.

Franco Fortini e la sua Sestina a Firenze

Uno per cominciare. Franco Fortini, nato a Firenze nel 1917 da un avvocato livornese, poeta, critico letterario e intellettuale militante, osservatore attento della cultura e della società del Novecento, ha dedicato moltissimi versi alla sua città natale, quella in cui era cresciuto e si era formato, giovanissimo, sui banchi del liceo Galileo e poi all’università, finché non fu espulso, in quanto ebreo nel 1939, chiamato alle armi e costretto, dopo l’armistizio, a rifugiarsi in Svizzera.

Parla così del suo rapporto con la città nella sua poesia Sestina a Firenze, (Poesia ed errore, 1959): «Alle tue pietre, / città amara, mi guidi, ora che il fiore / eterno al gelo delle torri sale». La ‘sestina’ del titolo si riferisce al tipo di componimento utilizzato da Fortini per esprimere il suo omaggio alla città, una forma metrica antichissima, sperimentata anche da Dante, complicatissima, perché costringe il poeta ad utilizzare per sei strofe consecutive le stesse parole in rima ordinate secondo uno schema fisso di rotazione incrociata: una vera sfida anche per i poeti più esperti.

Le parole-rima che Fortini sceglie per descrivere la sua Firenze sono: fiore, terra, argento, sale, erba, pietre. Con esse Fortini riflette sulla sensazione che la bellezza e la densità della storia di Firenze hanno provocato in lui, osservatore dei suoi monumenti ed incapace imitatore di quegli uomini che hanno reso grande e celebre la città: così il ricordo dei grandi si associa alla bellezza dei monumenti ancora oggi in piedi, relitti di una storia che stimola, ma che allo stesso tempo incute timore e riverenza: entrambi, i monumenti e i grandi uomini del passato di Firenze, sono dunque per lui bellissime «impenetrabili torri d’argento».

La città fatta d’argento

Mi era capitato qualche volta di notarlo, soprattutto la mattina molto presto, quando la luce è ancora bassa e fredda, ma non ero riuscito a capirlo fino in fondo, finché una volta, lontano da Firenze, mi è capitato di dover rispondere alla domanda di una studentessa olandese, appena presentata da amici: «Tu di dove sei?». Alla mia risposta la ragazza ha detto: «La città d’argento! Sono stata solo una volta a Firenze, e quando sono arrivata, molto presto la mattina, quasi all’alba, ed ho visto per la prima volta le torri di Firenze con sotto l’Arno che scintillava ho pensato davvero per un momento che quella città fosse tutta quanta fatta d’argento».