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Impenetrabili torri d’argento XIII

Uno dei piatti tipici della tradizione toscana (fiorentina più che altro, checché ne dicano i senesi), povero e fatto di ingredienti semplici ed umili, ma che per la sua bontà è divenuto famoso anche fuori dalla nostra regione: pane raffermo (assolutamente senza sale) e qualche altro semplice ingrediente, aglio, basilico (tanto basilico!), olio, sale, pepe e il fondamentale pomodoro. Ecco pronta la ricetta della famosa ‘Pappa al pomodoro’.

Basilico, pane e pomodoro

Sarà il pomodoro, sarà il basilico, sarà che sa così tanto di casa e di cose semplici preparate con cura magari in un caldo cantuccio della cucina (ma provatela anche d’estate, fredda: non sarete delusi!), la pappa al pomodoro rappresenta un’unione di sapori che rappresenta appieno ciò che si intende per ‘cucina italiana’. La pappa più famosa del mondo non ha però ispirato solo cuochi, casalinghe, nonne e chef stellati.

In realtà non sembra siano stati né programmi televisivi, né siti online di ricette a far conoscere per primi in tutta Italia un piatto che, anche se sembra semplice, in pochi sanno preparare a dovere.

“Viva la pappa col pomodoro!”

Correva il dicembre 1964 quando una vivacissima Rita Pavone cantò in televisione davanti a milioni di italiani l’inno della pappa al pomodoro, rendendo famoso il piatto fiorentino: “Viva la pappa col pomodoro che è un capolavoro!”.

Rita Pavone era allora appena diciannovenne, ma godeva già da qualche anno di un enorme successo come cantante: la sua voce si era fatta conoscere con alcuni singoli di musica leggera italiana che sono rimasti nell’immaginario di quei primi anni Sessanta: ‘La partita di pallone’, ‘Come te non c’è nessuno’, ‘Il ballo del mattone’, ‘Datemi un martello’, solo per citarne alcuni.

In quel 1964 però la Pavone esordì come attrice, protagonista di una delle miniserie prodotte dalla Rai come adattamenti televisivi di romanzi della letteratura europea che, se oggi possono sembrare viziate da intenti troppo spesso scopertamente edificanti, rappresentano un nobile (e tutto italiano) precedente nella storia delle serie televisive mondiali.

Rai in bianco e nero

Il Giornalino di Gian Burrasca’, il titolo di quella miniserie, andata in onda tra il dicembre del 1964 e il febbraio del 1965: la pièce, firmata da Lina Wertmüller, che ne fu anche la regista, era un libero adattamento dell’omonimo romanzo breve, apparso all’inizio del secolo a puntate, su un periodico fiorentino (si chiamava il ‘Giornalino della Domenica’). Il romanzo per ragazzi (ma non troppo!) narrava in forma di diario le vicende del piccolo Giannino Stoppani (soprannominato dalla famiglia a causa della sua esuberanza ‘Gian Burrasca’), tra marachelle, scherzi, tentativi di fuga, equivoci, in costante lotta con il mondo dei ‘grandi’.

Lo sceneggiato della Rai non rappresentò la prima ed unica fortuna per ‘Gian Burrasca’: uscito a puntate tra il 1907 e il 1908, riscosse talmente tanto successo che venne ripubblicato in volume illustrato nel 1912 con successive ristampe che lo portarono sul podio dei libri italiani per ragazzi più venduti, secondo soltanto a ‘Pinocchio’ e a ‘Cuore’.

Vernacolo fiorentino

Il ‘Giornalino’ non è legato a Firenze soltanto per l’ambientazione (seppure non sia specificata, la città natale del protagonista sembra senza dubbio essere Firenze), ma perché piuttosto il suo autore era uno dei rappresentanti più felici di una generazione di scrittori fiorentini vissuta fra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo, animatore di quell’ambiente culturale tosco-fiorentino che fece da sottofondo prima alla stagione letteraria carducciana, poi a quella d’annunziana, futurista e vociana.

Luigi Bertelli, meglio conosciuto con lo pseudonimo di Vamba, nacque e visse a Firenze e fu prima giornalista e polemista repubblicano, di ispirazione mazziniana, pronto a denunciare i misfatti e i compromessi di una classe dirigente post-unitaria che troppo spesso scendeva a compromessi per mantenere il proprio potere e che risultava essere del tutto inadeguata ad assolvere i principi e gli ideali risorgimentali. La sua firma parla da sola: ‘Vamba’, il soprannome di Cedric, il simpatico buffone dell’’Ivanohe’ di Scott, ma anche il nome di uno degli antichi re visigoti, quasi a significare l’unione di un umorismo disincantato e di una fierezza indomita.

Dopo una carriera brillante come polemista e caricaturista, sentì che la sua missione era quella didattica: spese moltissime energie tra gli anni Novanta dell’Ottocento e il primo dopoguerra per educare le giovani generazioni, con la pubblicazione di periodici, raccolte di novelle illustrate, romanzi brevi e antolologie per le scuole; il suo obiettivo era quello di coltivare nei giovani i sani e forti principi che avevano animato il Risorgimento, esortando, certo, alla libertà e alla spensieratezza infantili ed adolescenziali, ma anche all’onestà e all’incorruttibilità.

“Così impareranno a trattare i ragazzi come si deve!”

Il Giornalino di Gian Burrasca’ è senza dubbio il suo capolavoro: Giannino con la sua esuberanza, la sua ritrosia all’imposizione di regole assurde e irragionevoli, la sua voglia di libertà e la sua innocenza, finisce per cacciarsi in guai gravissimi ed esilaranti, in cui è quasi sempre lui a rimetterci, percosso dal padre e messo spesso in castigo: sempre però agli occhi del lettore vengono smascherate l’ipocrisia, la vanagloria, la corruzione che gli adulti impongono ai bambini, fuorviandone le menti e le abitudini e vanificando fin dall’infanzia ogni possibilità di cambiamento futuro della società.

Tra le pagine del diario di un bambino di otto anni, tra le pieghe delle sue divertentissime avventure, tra matrimoni mandati all’aria, burle anche violente, equivoci imbarazzanti, smascheramenti di calunnie, multe, ribellioni in collegio, scherzi a non finire, emerge un messaggio tutt’altro che pacifico ed innocuo: Vamba, l’antico mazziniano, schifato dalla corruzione dei costumi della borghesia dell’Italietta e dalle lordure della sua classe dirigente, incita ad una onestà e ad una ribellione morale valida non soltanto per l’Italia giolittiana.

“Perciò ‘buon appetito!’, facciamo colazion!”

Lo sceneggiato del 1964, con la sua divertentissima trama e l’interpretazione magistrale non solo della Pavone, ma anche di altri grandi attori come Valeria Valeri, Milena Vukotic, Paolo Ferrari, Arnoldo Foà, metteva in scena sul palcoscenico nazionale della televisione un testo che, con il sorriso, interrogava il pubblico italiano degli anni Sessanta, alle prese con profonde modificazioni del tessuto sociale ed economico, che sarebbero esplose di lì a pochi anni.

Appare forse strano alle nostre orecchie di integrati cittadini di un mondo globalizzato, immobile nei suoi ferrei e inamovibili habitus mentali, che in quegli anni per mezzo di un’apparentemente innocente canzone per bambini, che celebra la bontà di uno dei piatti più gustosi della cucina fiorentina, si potessero pronunciare parole tanto precise: “Viva la pappa col pomodoro! La pancia che borbotta è causa del complotto, è causa della lotta: ‘abbasso il direttor!’. La zuppa ormai l’è cotta e noi cantiamo tutti vogliamo detto fatto la pappa al pomodor!”.