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Impenetrabili torri d’argento XVI

A spasso per Firenze

Passeggiare per le strade di Firenze è un’impresa che talvolta può avere dell’eroico: folle scomposte di turisti affamati di scatti, armati di tutto punto di bastoni per selfie, audioguide inforcate sulle orecchie e segni di riconoscimento più o meno ingombranti (compresi zainetti dagli improbabili colori, bandierine di plastica, casacche fluorescenti, per non dimenticare gli appuntiti ombrelli tascabili, branditi dai comandanti di questi battaglioni di conquistatori come delle vere e proprie lance da guerra); turbe di viaggiatori provenienti da tutte le parti del mondo si riversano in blocco ogni giorno nelle strade del centro, decise a conquistarsi gli angoli migliori da cui immortalare i soliti pezzi di città e a penetrare nei palazzi e nelle chiese, per saccheggiarvi anche solo un brandello di “io ci sono stato!”.

Lotta con il turista

Al povero visitatore meno organizzato (ma forse più interessato e consapevole) non resta che seguire il flusso di questa massa di individui che si barcamena fra piazza della Signoria e piazza del Duomo e che raramente si disperde verso le altre zone della città, mentre il fiorentino, che voglia godersi un pomeriggio passeggiando, deve cimentarsi nella complicata arte dell’attacco alla formazione del turista, che consiste nel pericoloso tentativo di infilarsi nelle fessure che talvolta si aprono in uno dei lati di quei battaglioni, come un incursore che cerchi di violare il campo avversario.

Una fatica degna di un viaggio infernale in cui non di rado può capitare di uscirne, se non schiaffeggiati impunemente da qualche colosso americano o abbagliati dagli immancabili flash nipponici, spesso con un calcio negli stinchi o con una spallata nella schiena.

Ma la cosa cui forse non si fa caso è che il confronto con il viaggio ultraterreno di Dante non è poi così scontato.

‘Commedia’, Canto VIII, Palude Stigia

Dante è entrato non da molto nel regno degli Inferi, ma è già svenuto un paio di volte per l’angoscia e il terrore ed ha già avuto modo di essere chioccato abbastanza da quello che ha dovuto osservare, fra il puzzo della melma dei golosi, la furia della tempesta dei lussuriosi e le luci infuocate che ogni tanto illuminano le allucinate tenebre infernali.

“Quanti si tengon or là sù gran regi che qui staranno come porci in brago”

È appena salito sulla barca di Flegiàs, il secondo nocchiero infernale che Dante incontra dopo Caronte, con cui, insieme a Virgilio, la sua guida, guadagnerà la sponda opposta della maleodorante palude Stigia dalla quale emergono di quando in quando pezzi di anime degli uomini che lì sono condannati alle pene eterne: gli iracondi tracotanti, ovvero coloro che non seppero controllare la propria rabbia in vita.

“Quei fu al mondo persona orgogliosa”

Improvvisamente emerge dal fango un’anima che domanda a Dante chi sia: “Chi sei tu che scendi quaggiù nell’inferno da vivo, prima di essere morto?”. Dante sa che non rimarrà lì, che è destinato a visitare anche gli altri due regni dell’aldilà, ma riconosce quel dannato, seppure completamente ricoperto di fango.

Si tratta di una vecchia conoscenza di Dante. Il suo nome: Filippo ‘Argenti’ de’ Cavicciuoli degli Adimari. Professione: cavaliere. Principale occupazione in vita: giorovagare  per Firenze attaccando briga con chiunque si imbatte, ostentando la propria ricchezza e provocando tutti i concittadini che incontra. Non quello che definiremmo un simpaticone e che, con un tipo come Dante, non poteva certamente andare d’accordo.

“Con piangere e con lutto, spirito maladetto, ti rimani”

Una volta Filippo aveva schiaffeggiato pubblicamente Dante perché in disaccordo con lui e, c’è da immaginarsi, ne doveva essere nata una rissa dalla proporzioni colossali. In più c’era l’avversione politica: Filippo era un Adimari e dunque di Parte Nera, il partito avversario a quello di Dante e che lo condannò all’esilio (il fratello di Filippo fu anzi uno dei massimi beneficiari degli espropri ai danni degli Alighieri dopo la condanna a morte del poeta).

“Fu questo Filippo Argenti de’ Cavicciuoli, cavaliere ricchissimo, tanto che esso alcuna volta fece il cavallo, il quale usava di cavalcare, ferrare d’ariento, e da questo trasse il soprannome. Fu uomo di persona grande e nerboruto e di maravigliosa forza e alcun altro iracundo, eziandio per qualunque menoma cagione”.

Con queste parole Giovanni Boccaccio descriveva Filippo Argenti, quello stesso strafottente cavaliere che, bardato il proprio cavallo completamente d’argento per ostentare la propria ricchezza (e da questo il suo soprannome ‘Argenti’), amava cavalcare per le strette strade della Firenze medievale tenendo le gambe il più allargate che poteva, tese sulle staffe, così da urtare sul volto o sulla nuca con i propri stivali chiunque stesse camminando sulla sua strada, come ci raccontano altre fonti dell’epoca. Si può immaginare perché fosse finito all’inferno a causa della sua voglia di attaccar briga con chiunque.

“Via costà con li altri cani!”

Così, proprio come accadeva in vita, Filippo da morto cerca di aggredire Dante nel suo attraversamento della palude sulla barca di Flegiàs, subito dopo averlo riconosciuto: si aggrappa ai legni della barca e cerca di farla rivoltare per poi vedersela con Dante, ma è bloccato prontamente dall’intervento del vigile e prestante Virgilio che lo ricaccia indietro o con un destro o con una bastonata.

Allora Dante confessa uno dei suoi più sadici desideri: vedere quel cane rabbioso che lo ha offeso in vita affogato nel fango della palude e smembrato dalle altre anime dannate. E così avviene: tutti si scaraventano contro Filippo gridando “A Filippo Argenti!”, facendo scempio delle sue membra di anima.

Nel Corso una lapide ricorda l’episodio dantesco nel luogo in cui sorgevano le case degli Adimari: non è una delle vie più frequentate dai turisti, ma può accadere di imbattersi lì ancora oggi, come nel Dugento, in qualche soggetto non troppo propenso alle tranquille passeggiate cittadine. Rispetto al tempo di Dante è probabile non rimetterci la faccia con uno sfregio provocato da uno degli speroni di Filippo Argenti oppure di essere schiaffeggiati, ma non per questo non ci sia concesso di giudicare i pomeriggi a spasso per il centro di Firenze spesso come delle vere e proprie passeggiate infernali.