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Inutile dire che il “populismo”, nell’accezione comune e contemporanea del termine (frutto di quella semplificazione giornalistica che però tanto alimenta la sua crescita – e al quale il populismo stesso deve larga parte dei propri consensi), è una realtà incontestabile, ma non inevitabile né incontrastabile, delle democrazie occidentali, in particolare di quelle europee

Marine Le Pen in Francia, non diversamente la Brexit nel Regno Unito e Trump negli Stati Uniti, e su fronti diversi ed opposto, Grillo in Italia e, per certi versi, Tsipras in Grecia (solo per citare alcuni casi) sono esempi eclatanti di come provenienze, storie, metodi e modi, culture e tradizioni, collocazioni e valori diversi possano contribuire a raggiungere amplissimi consensi giocando sulle paure o sfruttando i problemi, senza per questo offrire soluzioni facilmente percorribili, veicolate invece dal semplicismo comunicativo e dalla retorica della propaganda.

Elezioni olandesi e presidenziali francesi

Le recenti elezioni politiche olandesi, che secondo i sondaggi della vigilia avrebbero dovuto rappresentare l’ennesimo tassello di quella spinta che, per assurdo, è al tempo stesso anti-islamica, in nome dei valori dell’Europa tradizionale, ma al tempo stesso anti-europea, rievocando valori come le sovranità nazionali rappresentata quale panacea di tutti i mali, hanno rappresentato un’autentica sorpresa. La destra populista di Wilders è uscita sconfitta non ad opera di una qualche sinistra, moderata o radicale, ma della destra liberale e moderata del premier uscente Rutte.

Alla vigilia delle elezioni presidenziali francesi, che prevedono un secondo turno tra i due candidati che hanno ottenuto il maggior numero di voti relativi, sembra prefigurarsi un testa-a-testa tra socialisti di Macron e repubblicani di Fillon per un secondo posto al primo turno dietro Marine Le Pen, data sconfitta al ballottaggio, quando potrebbero indirizzarsi nel candidato a lei alternativo anche i voti della parte contrapposta, di centrosinistra o centrodestra che sia. Con questo, ella non si da per vinta a priori.

La Brexit e la presidenza Trump

Nel mentre, si stanno delineando lunghissimi i tempi per l’uscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea: si parla della fine del 2018, ma le trattative, sui tanti temi delicatissimi da affrontare tra Downing Street e Bruxelles, potrebbero protrarsi per altri anni ancora. E diversamente non potrebbe essere: sono stati necessari secoli per costruire un ponte tra le due sponde della Manica, figuriamoci se poteva essere realistico credere che fosse possibile tornare indietro in-men-che-non-si-dica.

La presidenza Trump, di converso, sta entrando davvero nel vivo del proprio esercizio: il bilancio dell’Amministrazione guidata dal personaggio forse più eccentrico nella storia della Casa Bianca mostra nero su bianco i nettissimi tagli nei capitoli che fanno riferimento alla sanità, all’istruzione e all’ambiente, mentre crescono i finanziamenti per la difesa. Il decreto anti-immigrati e il progetto del muro al confine con Messico, tra improvvise accelerazioni, slogan di richiamo e battute d’arresto, sono sul bloc-notes quotidiano dei reporter dei mass-media di tutto il mondo.

Tempi lunghi e soluzioni lontane al populismo europeo

Il tempo del populismo, europeo in particolare (che beninteso ha conosciuto nell’arco della storia moderna numerosi alti e bassi, ma che oggi pare chiaramente al suo culmine) potrebbe avere però vita lunga: sarebbe assurdo credere, come alcuni si illudevano di fare, che il risultato di Amsterdam fosse sufficiente per bilanciare quello assai più rumoroso e di segno opposto in altre parti del continente.

Un diffuso malcontento, corruzione e inefficienze, insicurezza e malaffare, un certo strapotere della finanza e della burocrazia sul ruolo della politica, da tempo più interessata a garantire se stessa e sempre meno capace di porre rimedio ai crescenti problemi di un numero sempre maggiore di individui e gruppi sociali, non contribuiscono a migliorare una situazione già di per sé molto complessa.

In altre parole: il populismo non si è arrestato nei Paesi Bassi, servirà molto di più perché si trovino, prim’ancora di ogni altra preoccupazione, soluzioni e programmi capaci di convincere al ritorno a una democrazia dai toni più ragionati e dalle tinte più tenui.