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Il 27 ottobre alla Biblioteca umanistica dell’Università di Firenze presentazione di ‘Luci di posizione’, l’antologia dei principali poeti aderenti al manifesto del “realismo terminale” curata da uno di essi, Giuseppe Langella. Con lui interverrà Guido Oldani, l’iniziatore di questo movimento poetico. Coordina l’incontro Maria Giuseppina Caramella, presidente della Fondazione il Fiore. Ingresso libero.

 

Un movimento di poeti che intende misurarsi con la dimensione storica del nuovo millennio: i cambiamenti antropologici conseguenti a fenomeni quali l’inurbamento massiccio della popolazione e l’imperio di oggetti e nuove tecnologie sugli esseri umani; con la ritirata della natura a vantaggio dell’artificiale. Facendo appello a «cifre formali» all’altezza di una «svolta millenaria che ha messo a soqquadro le categorie e le modalità stesse della conoscenza»: dalle “similitudini rovesciate”, in cui la natura non è più il termine di paragone, alla “accumulazione caotica” quale versione privilegiata della specie retorica dell’enumerazione.

E’ “il Realismo terminale”, un movimento poetico nato dall’omonimo manifesto pubblicato nel 2010 da Guido Oldani e poi allargatosi negli anni successivi attraverso varie tappe (vedi “Cronistoria” sotto)  – fra cui il manifesto breve “A testa in giù” (vedi sotto) del 2014 al Salone del libro di Torino –  che quest’anno ha appena pubblicato, con il titolo ‘Luci di posizione’, la propria antologia di riferimento. Una raccolta di versi, edita da Mursia, contenente dieci poesie per ciascuno dei sei principali poeti del movimento: Guido Oldani, Giusi Càfari Panìco, Franco Dionesalvi, Valentina Neri, Marco Pellegrini e Giuseppe Langella, che è anche il curatore dell’antologia.

Il volume sarà presentato venerdì 27 ottobre alle 17 alla sala Comparetti della Biblioteca umanistica dell’Università di Firenze (piazza Brunelleschi 3-4) in un incontro organizzato dalla Fondazione il Fiore a cui interverranno i protagonisti stessi del movimento e dell’antologia: Guido Oldani, uno dei maggiori poeti italiani viventi, e Giuseppe Langella, ordinario di Letteratura italiana moderna e contemporanea all’Università Cattolica del S. Cuore di Milano, oltre che poeta. Ad accoglierli ci sarà Floriana Tagliabue, direttore della Biblioteca umanistica, e Maria Giuseppina Caramella, presidente della Fondazione il Fiore, che modererà l’incontro. L’ingresso è libero.

Come spiega Langella nell’introduzione di ‘Luci di posizione’, il mondo in cui viviamo è ben diverso da quello che appariva a Leopardi. Il nostro è un mondo in cui la natura si sta ritirando, è messa ai margini, e a nasconderci «tanta parte dell’ultimo orizzonte» è una «fila inamena di casermoni», in cui «i popoli si ammassano in agglomerati sempre più tentacolari» e i milioni di oggetti che vengono sfornati dalla fabbriche sono ormai «le nostre segretarie, i nostri passatempi, i nostri contabili, i nostri specialisti..». «Si può far finta di niente? – scrive ancora Langella – Noi crediamo di no. Il Novecento è passato, non possiamo più scrivere come scrivevamo nel Novecento. Non possiamo, dico, se vogliamo render conto di quello che sta accadendo e che chiede a noi di trovare, secondo il proprium dell’arte, un linguaggio corrispondente». Da qui la necessità di misurarsi col proprio tempo alzando il tiro fino a «diventare gli specchi ustorii del mondo in cui viviamo». «Il realismo terminale – conclude Langella – nasce dall’osservazione di questi fatti planetari e delle trasformazioni antropologiche che stanno generando. Vuol essere un rispecchiamento ironico della civiltà ipertecnologica, babelica e globalizzata degli anni Duemila».

 

Per ulteriori informazioni, Fondazione il Fiore. Tel.: 055-225074

 

“Oggigiorno”

è stipato il mar mediterraneo / come una bagnarola col bucato, / salato, che a guardarlo mette sete. / intorno è totalmente di cemento / con i corpi infilati in tutti i buchi, / lumache senza guscio e con lo sfratto / che a vicenda sorbiscono le urine / con le cannucce della cocacola / se no, l’arsura è causa delle guerre / tra i popoli cui strangola la gola.

Guido Oldani

 

CRONISTORIA DEL REALISMO TERMINALE

Punto di partenza del movimento è il manifesto pubblicato da Guido Oldani nel 2010, intitolato appunto Il realismo terminale. Alla stampa di quello scritto, tradotto negli Stati Uniti e circolato anche in altri paesi, è seguito un dibattito su giornali e riviste letterarie. Dal convegno di Cagliari del 2012, momento culminante del festival dei “Traghetti di poesia”, è uscito un secondo libretto, La faraona ripiena, a cura di Giuseppe Langella ed Elena Salibra, che ha visto il concorso di medici, matematici, filosofi, antropologi e psicanalisti, oltre che di poeti e critici, impegnati a discutere, dai rispettivi punti di vista, le tesi del Realismo Terminale. Nel 2013, all’interno di Bookcity, si è svolto un secondo convegno, a Milano, i cui Atti si possono leggere in coda al Dizionarietto delle similitudini rovesciate. Pietra miliare nella storia del Realismo Terminale, la presentazione ufficiale del movimento al Salone del libro di Torino, il 10 maggio 2014, presso lo spazio dell’associazione Sant’Anselmo, con il lancio del Manifesto breve. Tra i firmatari di quel manifesto c’era Elena Salibra, già messa alle corde dal male che ce l’avrebbe strappata via pochi mesi dopo. Rendiamo un mesto omaggio all’amica non risanata, al suo solare sorriso.

Dopo Torino gli appuntamenti si sono moltiplicati, in una con la crescente attenzione suscitata dalle proposte innovative dei Realisti terminali. Molte le sedi, a Milano anzitutto, che hanno messo a disposizione del movimento i loro spazi: basti ricordare, tra le più frequentate, la Libreria Mursia, l’Esoterica, la Popolare di via Tadino, l’Officina Coviello, il CAM Garibaldi, Casa Lodi, l’Ostello Bello, il Parco Trotter, il Palazzo delle Stelline, il Teatro Franco Parenti e i Filodrammatici, ma anche il Castello Sforzesco per Bookcity, l’Università Statale, lo IULM e la Cattolica, e perfino l’abbazia di Chiaravalle e il convento dei padri domenicani di Santa Maria delle Grazie, custodi del Cenacolo di Leonardo. I Realisti terminali sono stati invitati al MUDEC, ospiti del Festival internazionale di Poesia, all’Università di Pisa, alla Casa della Poesia di Monza, a Roma, nella cornice suggestiva del Tempio di Adriano, per “Ritratti di Poesia”, e al Palazzo dei Congressi per la Fiera dell’Editoria, ad Alessandria per la Biennale di Poesia, a Cremona per il Summer Poetry Festival. Al Piccolo Museo della Poesia di Piacenza sono ormai di casa.

Nello spirito prismatico del convegno di Cagliari, il movimento si è venuto aprendo sempre più alle varie forme espressive, aggregando via via artisti, architetti, musicisti, uomini di teatro e gente di spettacolo. Un manifesto della pittura terminale, centrato sull’idea dirompente della “prospettiva rovesciata”, è stato presentato e discusso, il 22 marzo 2016, all’Accademia di Belle Arti di Carrara, per iniziativa di Massimo Silvotti. Ispirata alla visione del Realismo Terminale, anche la mostra collettiva organizzata dal maestro Stefano Pizzi nello spazio espositivo della ex-chiesa di San Carpoforo, in zona Brera a Milano. In occasione dell’inaugurazione della mostra, il 22 novembre 2013, il gruppo Percussioni Industriali ha eseguito la sinfonia Il realismo terminale. Da sempre vicino al movimento si è dimostrato anche il Museo del Fango, promosso dall’artista messinese Michele Cannaò. Sul versante teatrale, fin dal 2011 Gilberto Colla, il creatore della Torre dei Sogni, ha trasformato in spettacolo il Realismo Terminale, mettendo in scena, su testi di Oldani, Millennio terzo, nostra meraviglia. Fiancheggiatori del movimento sono anche l’attore e regista Corrado Calda e Aleardo Caliari col suo Teatro della Memoria, che con Oldani organizza un festival del teatro dialettale, “Lingua di calcestruzzo”, sostrato popolare dell’odierna babele linguistica. Segno, ultimo solo in ordine di tempo, dell’inarrestabile diffusione delle tesi del movimento, l’antologia Novecento non più. Verso il Realismo Terminale.

Il movimento ha preso anche diverse iniziative simpaticamente provocatorie, come il raduno sotto la statua di Carlo Porta, al Verziere, il 7 ottobre 2015, con la compagnia di Caliari; o l’happening del “Realismo in fiore”, il 21 marzo 2016, per la giornata mondiale della poesia, col gesto simbolico di deporre dei grandi e coloratissimi girasoli di carta nei cestini di piazza Duomo, a Milano. L’impegno civile dei Realisti Terminali si è tradotto, fra l’altro, nell’istituzione, nel 2011, del Tribunale della Poesia, che ha promosso annualmente “Il giorno dell’impiccato”, per sensibilizzare l’opinione pubblica sulle condizioni di vita nelle carceri. Il movimento si è battuto, inoltre, con manifestazioni, appelli e una raccolta di firme, per la liberazione di un regista, ingiustamente recluso in un ospedale psichiatrico a seguito di una sentenza di sapore kafkiano, e per la revisione del processo. Ha anche inoltrato, nel 2014, una petizione ai Presidenti del Parlamento e del Consiglio europeo per un intervento concreto dell’Unione a tutela delle minoranze etniche e religiose nel mondo. Il movimento ha stabilito anche fecondi rapporti col mondo della scuola, culminati nella “Palestra poetica” i cui frutti più significativi sono stati raccolti nel già citato Dizionarietto.

 

A TESTA IN GIÙ

Manifesto breve del Realismo terminale

(Torino, 10 maggio 2014)

La Terra è in piena pandemia abitativa: il genere umano si sta ammassando in immense megalopoli, le “città continue” di calviniana memoria, contenitori post-umani, senza storia e senza volto.

La natura è stata messa ai margini, inghiottita o addomesticata. Nessuna azione ne prevede più l’esistenza. Non sappiamo più accendere un fuoco, zappare l’orto, mungere una mucca. I cibi sono in scatola, il latte in polvere, i contatti virtuali, il mondo racchiuso in un piccolo schermo.  È il trionfo della vita artificiale.

Gli oggetti occupano tutto lo spazio abitabile, ci avvolgono come una camicia di forza. Essi ci sono diventati indispensabili. Senza di loro ci sentiremmo persi, non sapremmo più compiere il minimo atto. Perciò, affetti da una parossistica bulimia degli oggetti, ne facciamo incetta in maniera compulsiva. Da servi che erano, si sono trasformati nei nostri padroni; tanto che dominano anche il nostro immaginario.

L’invasione degli oggetti ha contribuito in maniera determinante a produrre l’estinzione dell’umanesimo. Ha generato dei mutamenti antropologici di portata epocale, alterando pesantemente le modalità di percezione del mondo, in quanto ogni nostra esperienza passa attraverso gli oggetti, è essenzialmente contatto con gli oggetti.

Di conseguenza, sono cambiati i nostri codici di riferimento, i parametri per la conoscenza del reale. In passato la pietra di paragone era, di norma, la natura, per cui si diceva: «ha gli occhi azzurri come il mare», «è forte come un toro», «corre come una lepre». Ora, invece, i modelli sono gli oggetti, onde «ha gli occhi di porcellana», «è forte come una ruspa scavatrice», «corre come una Ferrari». Il conio relativo è quello della “similitudine rovesciata”, mediante la quale il mondo può essere ridetto completamente daccapo.

La “similitudine rovesciata” è l’utensile per eccellenza del “realismo terminale”; il registro, la chiave di volta, è l’ironia. Ridiamo sull’orlo dell’abisso, non senza una residua speranza: che l’uomo, deriso, si ravveda. Vogliamo che, a forza di essere messo e tenuto a testa in giù, un po’ di sangue gli torni a irrorare il cervello. Perché la mente non sia solo una playstation.

Guido Oldani, Giuseppe Langella, Elena Salibra