Spazi sociali nasce con l’intento di dare voce a quei luoghi abbandonati ma ricchi di storia che popolano Firenze per restituire loro dignità e valore, per far sì che la comunità umana torni a viverli.
Firenze, Varlungo, periferia Sud, via De André. A pochi metri dall’Obihall sorge un edificio che non può passare inosservato. Una straordinaria testimonianza di archeologia industriale.
Costruito nel 1890 da una ditta belga che al tempo gestiva il trasporto fiorentino: da qui partivano le linee che elettrificavano la rete del tram. La prima industrializzazione della città è passata da qui e di quel passato conserva le tracce nella ghisa e nei mattoni che compongono l’edificio.
L’edificio è di proprietà del Comune di Firenze dal 1935, poi nel passare degli anni è stato trasformato in deposito Ataf, poi un lungo abbandono che perdura fino ad oggi mentre le promesse di recuperarlo sono tutte cadute nel dimenticatoio. In anni recenti si parlò di potenziale spazio per la moschea chiesta a gran voce dalla comunità islamica o per un autosalone.
I residenti denunciano costantemente la presenza di persone intente a spacciare, l’abbandono di rifiuti all’interno e la stabilità precaria del complesso, che in alcuni punti è già crollato.
Non vi è dubbio che questo non sia il destino adatto ad un edificio così simbolico: la soluzione per questa come per tante altre aree degradate di Firenze può essere la rigenerazione urbana.
Da molti anni la rigenerazione urbana rappresenta un’occasione per tutte quelle città che devono fare i conti con il fantasma della deindustrializzazione il cui lascito è degrado materiale e ambientale, abbandono, marginalità sociale, inquinamento (metalli pesanti o amianto) e rappresenta una sfida per l’architettura ma anche per le comunità umane che possono riappropriarsi di spazi sociali.
Questo luogo merita di tornare in uso alla comunità fiorentina: parla di un passato importante, quando la Firenze contadina entrò di slancio nella modernità dell’energia, delle raggianti lune elettriche per citare il poeta Dino Campana. E non è un caso che da queste rive trovassero ispirazione per i loro dipinti proprio i Macchiaioli che di quel mondo agricolo che andava scomparendo per sempre furono cantori eccelsi.