“Qualche settimana fa, stanca e accaldata mi sono ritrovata, come catapultata dentro la trama, di un film. In un incontro surreale, ma piacevole, ho incontrato due persone comuni, ma speciali nella loro quotidianità. Il giornalista e scrittore romano Gianpaolo Limardi e sua moglie.
Dopo una mia estemporanea battuta, abbiamo preso a chiacchierare, incontrandoci in comune su vari punti. Per poi proporre a Gianpaolo, un’intervista dal sapore verso la riscoperta per quei valori familiari che, dimentichiamo troppo spesso, attraverso la sua prima opera letteraria, apprezzata da pubblico e critica.”
Ciao Gianpaolo, intanto grazie per questa intervista, nata per caso, da un incontro i cui segni però si potrebbero definire ben poco casuali. Segni che – se detti da me – potrebbero sembrare da film, vista la mia passione per il cinema. Vorresti ricordare l’origine di questa intervista?
Beh, effettivamente tutto nasce alla fermata di piazza Giorgini del bus numero 4, quando ci siamo conosciuti. Io e mia moglie eravamo a Firenze di passaggio e come turisti. C’era un sole pesante e nell’attesa del mezzo che ci avrebbe trasportato al centro della città ti abbiamo chiesto informazioni sugli orari e abbiamo così iniziato a parlare.
C’è stato un feeling immediato soprattutto con mia moglie che ti ha accennato del libro. E così ci siamo trovati, partendo proprio dal mio racconto, a scambiare opinioni sulla vita, le speranze, le delusioni, la cadute, i tentativi perenni di rialzarsi e sul tuo lavoro per il sito. Sono stati venti minuti piacevoli e costruttivi, da cui siamo usciti molto edificati. L’ennesima testimonianza che gli incontri non arrivano mai per caso. Da lì, poi, lo scambio di numeri e l’idea di questa intervista.
Dunque, ti sei affacciato nel mondo della narrativa, con questo tuo primo romanzo, “Il sorriso di un arcobaleno” (edito da Kimerik). Un titolo che reca in sé positività e che si colloca in un panorama letterario di gialli, noir e thriller. Qual è la sua peculiarità e a quale pubblico potrebbe essere diretto?
Direi che il libro si caratterizza proprio per la sua “luminosità” in contrapposizione a tanta “oscurità” che sembra attirare sempre di più lettori e autori. È il racconto di un’esperienza di vita che trascina alla riflessione. Alla speranza. Che affascina per i tratti affrescati di realtà, i quali s’intersecano con le vicende del protagonista rappresentando la cornice di una storia nella quale in molti si possono ritrovare.
Ecco, la chiave è proprio questa. Ritrovarsi nelle emozioni della narrazione, nelle debolezze e nella forza del protagonista, nelle sue scelte che oggi possono sembrare “fuori epoca” (una su tutte, l’aver privilegiato la famiglia a scapito del lavoro) ma di fronte alle quali tutti siamo chiamati prima o poi a prendere una posizione. La luce del romanzo trova origine anche nel sentimento religioso che lo percorre: c’è un progetto, a volte magari incomprensibile, per ognuno di noi, un progetto a cui possiamo aderire o meno nella nostra libertà e che si sviluppa grazie anche all’incontro con persone e luoghi. Esattamente quanto accaduto al protagonista.
A quale pubblico è diretto? Ovviamente a tutti, soprattutto ai giovani che in qualche modo si trovano disorientati dal bombardamento di informazioni a cui vengono sottoposti ogni giorno. Raccomando una sola accortezza, però: il libro va letto senza pregiudizi ideologici ma facendosi guidare dai sentimenti e dal cuore.
Quale motivo ti ha spinto a scrivere una storia ricca di riflessioni e sentimenti buoni e sani, troppo deviati oggi? Potresti brevemente raccontarla?
Per rispondere alla prima di queste due domande, mi permetto di citare ciò che disse uno dei più grandi scrittori del ‘900, il brasiliano Jorge Amado (chi leggerà il libro si troverà a viaggiare anche in un Brasile straordinario, inedito, generoso; un Brasile che le rotte vacanziere mai faranno conoscere). In un’intervista gli fu chiesto se non fosse dispiaciuto di non aver ricevuto il Nobel o in generale premi di grande importanza nella sua carriera. Il “maestro”, come lo chiamavano i suoi concittadini di Bahia, rispose: “Io non scrivo per ricevere premi ma per rispondere alle emozioni dei miei lettori”.
Nel mio piccolo è proprio quello che ho cercato di fare: rispondere alle emozioni di chi mi legge. E l’ho fatto attraverso la storia di Claudio, che a un soffio dal suo trasferimento in quel Brasile che adora e che lo attira forse anche come via di fuga da una realtà che non lo soddisfa, si trova a incontrare, in circostanze perlomeno inusuali, Anastasia, la donna che cambierà la sua vita. Con lei terminerà il percorso dell’«Io» e inizierà quello del «Noi», una delle chiavi per una vera unione di coppia. Da lì una serie di temi come il matrimonio, la paternità, la sofferenza, l’amicizia e lo spirito di “superação” (risollevarsi dopo le cadute). Tutti temi “scottanti” perché oramai considerati ingiustamente obsoleti ma che in realtà rappresentano secondo me lo spartiacque per un futuro meno grigio.
Tu sei romano ma vivi in Puglia da tempo: quanto c’è di questa terra nel libro e quale il motivo della scelta del titolo?
Come in ogni romanzo, c’è molto dell’autore, il cui “humus” culturale trova linfa vitale proprio nelle città e nei territori che ha frequentato. Da Roma alla Puglia, al magnifico promontorio del Gargano, dal Brasile a Foggia, ci sono squarci sensoriali che il protagonista esprime a contatto con le sue terre. E la Puglia ricovera anche una perla come Trani, piccola cittadina a pochi chilometri da Bari e a non troppi da Foggia. La copertina del libro è nobilitata proprio dall’immagine della cattedrale (sul mare) di Trani, che il protagonista conoscerà in un pomeriggio dal tempo bizzarro in cui un terribile temporale si acquieta soltanto con l’apparire di un arcobaleno, i cui effetti cromatici disegnano quasi i tratti di un sorriso. Da lì l’idea per il titolo del libro e la riproduzione grafica (molto efficace) della copertina.
Svestendo per un attimo i panni dell’autore e indossando quelli dell’imparziale giornalista, potresti dirci per quale motivazione il pubblico dovrebbe leggere il tuo libro?
Seccamente risponderei… “per farsi delle domande”. Ma direi anche… perché il libro sollecita la voglia di conoscere (ci sono ad esempio leggende e racconti brasiliani piuttosto suggestivi) e di spiare istanti della storia contemporanea con cui abbiamo avuto una relazione (dall’11 settembre alle Primavere arabe per citare due fatti epocali). E poi, l’ho accennato all’inizio: questo è un libro di speranza. In cui il protagonista, che sogna di essere un “rivoluzionario”, rivoluzionario – a modo suo – lo diventa davvero.
Concludendo, alcune settimane fa eri a Firenze, di passaggio, diretto verso Sesta Godano (La Spezia), dove il tuo libro ha ricevuto un Premio speciale nel Concorso internazionale “Dal Golfo dei Poeti Shelley e Byron, alla Val di Vara”. Che impressione ti ha dato la città di Firenze, nota culla, un tempo, della lingua e cultura italiana?
Nel libro c’è un breve accenno a Firenze in cui è scritto: “(…) visitammo una bomboniera d’arte come Firenze. Città stilizzata dai suoi “profeti”, alimentata da un talento che incensa il procedere impetuoso della storia. Covo di artisti e… Savonarola, capitani di ventura e nobildonne. Patria di mecenati adulati dalla corte e di banchieri impoveriti al soldo dei loro vizi…”, facendo riferimento al ricordo di una gita fatta da bambino dal protagonista (che viene però colpito da qualcosa di particolare e triste) nella vostra splendida città. Che resta magica malgrado i tanti cantieri aperti, che suscita comunque stupore, che profuma di creatività ed espressione artistica. Immagino che ci siano tanti problemi, ma di Firenze mi affascina la sua gioventù, i suoi ragazzi che inforcano la bicicletta e pedalano verso i sogni di un futuro virtuoso.
Infine, ti chiedo di rivolgere in saluto ai nostri lettori e un invito ad essi, con l’auspicio che presto una libreria di Firenze ospiti la presentazione di un libro che è meritevole proprio perché è fuori dal coro omologato.
Innanzitutto voglio ringraziare te e la tua redazione per l’opportunità che mi avete dato, attraverso questa intervista, di farmi conoscere dai vostri lettori e permettetemi di darvi una parola di grande incoraggiamento per il servizio meritorio che svolgete con il vostro sito: so perfettamente quanto sia duro portare avanti un tipo di lavoro come questo.
Poi mando un saluto affettuoso ai vostri lettori e dico loro con molta umiltà che se vogliono immergersi per qualche ora in un racconto dalle sensazioni intense, possono farlo leggendo “Il sorriso di un arcobaleno”. Credo che resteranno sorpresi, anche per uno stile di scrittura ricercato e per l’utilizzo “totale” della lingua italiana che proprio a Firenze è nata e si è sviluppata.
Vi confesso che per me sarebbe davvero un onore poter presentare il mio libro nella vostra città, una delle capitali mondiali della cultura. Un altro di quei sogni che spero si possano avverare al più presto. Grazie a tutti.