Nei miei articoli, soprattutto quelli riguardanti la Firenze medioevale, ho usato più volte i termini “guelfo” e “ghibellini” per riferirmi a quelle fazioni che caratterizzavano la vita politica della città. Al giorno d’oggi, infatti, questi due termini sono entrati nel linguaggio comune per indicare due partiti o schieramenti che si fronteggiano aspramente e con odio, come avveniva nell’Europa e nell’Italia medioevale.
È inutile dire che questi due termini hanno origini antichissime: risaliamo indietro fino al XII secolo, durante le lotte per il dominio del Sacro Romano Impero.
Con la morte di Enrico V, ultimo esponente della dinastia salica, la corona imperiale venne lungamente contesa tra due famiglie: i Welfen, grandi feudatari tedeschi,e gli Hohenstaufen, duchi di Svevia e signori dell’importante castello di Waiblingen. Durante queste lunghe lotte, in Italia, allora parte dell’Impero, si crearono due fazioni fortemente contrapposte: i “guelfi” (da Welfen, appunto) e i “ghibellini” (dall’italianizzazione di Wibeling, antico nome di Waiblingen).
Dopo molti anni di lotta, gli Hohenstaufen riuscirono, con Corrado III (zio di Federico I Barbarossa), ad assicurarsi la corona imperiale, che mantennero fino alla seconda metà del XIII secolo. Con la definitiva vittoria dei duchi di Svevia, però, questi due termini assunsero due nuovi significati: i ghibellini divennero coloro che appoggiavano il potere imperiale, mentre i guelfi divennero i partigiani del papa, unico potere in Italia in grado di opporsi all’autorità imperiale.
Ma come nacque a Firenze questa divisione che influenzò la politica comunale per secoli?
Le origini di questo scontro devono essere ritrovate in un episodio avvenuto al’inizio del XIII secolo. In quel tempo, infatti, viveva in città un giovane di ricca famiglia, tale Buondelmonte de’ Buondelmonti, grande amico di altri due giovani nobili fiorentini, Uberto degli Infangati e Mazzingo Tegrimi de’ Mazzinghi. Quest’ultimo, nel gennaio del 1216, veniva nominato cavaliere e, per festeggiare, decideva di organizzare un grandioso e lussuoso banchetto, al quale venivano invitate le più importante famiglie dell’epoca.
Tali famiglie erano fortemente in contrasto tra loro, soprattutto per motivi politici, e facevano di tutto per screditarsi l’una con l’altra. Durante il banchetto un giullare, probabilmente istruito da un invitato, sottraeva il piatto dal quale stavano mangiando Buondelmonte e Uberto degli Infangati. I due si irritavano a causa dello scherzo compiuto dal giullare, e questi veniva difeso da Odarrigo de’Finfanti, noto seminatore di zizzania. Da tale banale episodio scaturiva una violenta rissa, durante la quale Buondelmonte feriva con la sua spada Odarrigo.
Qualche giorno dopo la rissa, nel palazzo della famiglia Arrighi veniva tenuta una riunione, alla quale partecipavano anche le famiglie amiche alla casata dei Finfanti (gli Uberti, i Gangalandi, i Lamberti e gli Amidei). Durante l’incontro veniva deciso di ripianare la questione con un matrimonio pacificatore, proponendo a Buondelmonte di sposare Reparata, figlia di una sua sorella di Odarrigo e di Lambertuccio Amidei. La proposta veniva accolta e, pertanto, si procedeva con la cerimonia dell’inanellamento e con la stipula di un regolare contratto notarile.
La questione sembrava risolta, ma Buondelmonte, in seguito, decideva di non rispettare i patti, rinunciando al matrimonio con Reparata e decidendo di sposare Beatrice, la bellissima figlia di Gualdrada Donati e di Forese Donati il Vecchio. La famiglia Amidei non tollerava quest’affronto e, perciò, si riuniva nella chiesa di Santa Maria sopra Porta con tutti i loro alleati, per decidere come reagire a quell’offesa: alcuni proponevano di umiliare Buondelmonte,obbligandolo a chiedere scusa a Reparata in pubblico; mentre altri proponevano di pestarlo o di sfregiarlo sul viso.
Ad un certo punto si alzava per parlare Mosca dei Lamberti, grande politico e cavaliere, che proponeva di risolvere definitivamente la questione uccidendo il giovane aristocratico; e ciò veniva deciso. Di come avveniva il fatto, tuttavia, tratterò ampliamente nel prossimo articolo.