Tempelhof da frenetico scalo aeroportuale a parco urbano nel quale riscoprire il vivere comune.
Inaugurato da un gruppo imprenditori ebrei nei ruggenti anni Venti, fu ristrutturato nel 1941 dall’architetto Ernst Sagebiel secondo i dettami di Albert Speer, il pianificatore urbano del Fuhrer. Il suo nome deriva da quello dei cavalieri Templari che nel XIII secolo si accamparono nella zona. Dismesso nel 2008, rappresenta un fulgido esempio di rigenerazione urbana.
Dal ponte aereo al parco più grande: la metamorfosi di Tempelhof
Di solito è il cemento a ingurgitare il verde. Non sempre però. Almeno non Tempelhof che, sebbene abbia fatto gola a tanti, è diventato un luogo vivo, restituito ad un uso collettivo. In origine l’amministrazione cittadina, guidata dal socialdemocratico Klaus Wowereit, voleva trasformarlo in un’area in parte residenziale e in parte commerciale ma i cittadini, capitanati dal comitato 100% verde a Tempelhof, si sono opposti.
Alla fine gli oltre 300 ettari di Tempelhof sono andati a formare il più grande parco di Berlino. Secondo le stime sono circa 50.000 le persone che visitano in media il parco ogni fine settimana.
I berlinesi hanno scelto di conservare un luogo fulcro della loro memoria collettiva. A Tempelhof dal 26 giugno del 1948 al 12 maggio del 1949 approdarono gli aerei alleati che salvarono i cittadini dalla morsa di Stalin. Di fronte a chi voleva ridurre alla fame la città per soggiogarla, quei quadrimotori agli occhi dei berlinesi prostrati non portarono solo viveri, portarono un sogno di libertà: un primo assaggio di democrazia. E fu di nuovo Tempelhof l’aeroporto in cui approdarono le celebrità del mondo libero, da Sofia Loren a John Wayne, a Marylin Monroe, poi i Beatles e i Rolling Stones. Non è un caso che i berlinesi ci siano tanto legati.
Orticoltura urbana
Dal 2011 un’associazione (Giardino della comunità Allmende-Kontor), vi ha realizzato degli orti urbani, ricchi di tante varietà di piante, ortaggi e alberi. Uno spazio dinamico, aperto alla comunità e alla sperimentazione. Michele Mellara e Alessandro Rossi lo hanno inserito nel loro interessante documentario God Save the Green che tratta di come alcune comunità urbane stiano recuperando lo spazio attraverso. Una soluzione anche al crescente fabbisogno alimentare del pianeta. Una rigenerazione di successo, efficace perché condivisa dalla comunità.