Impenetrabili torri d’argento XIX
“Sovra candido vel cinta d’oliva / donna m’apparve, sotto verde manto, / vestita di color di fiamma viva”. Un’altra lapide, altri ricordi che affiorano, parole che descrivono personaggi di una città perduta, altri versi che si possono incontrare passeggiando per le vie di Firenze.
Questi, dal XXX canto del Purgatorio di Dante, si possono leggere in via del Corso, poco prima dell’incrocio con via del Proconsolo, sopra l’ingresso di quello che oggi è palazzo Portinari-Salviati, sede fino a qualche anno fa di un’importante banca cittadina. E quella lapide è dedicata proprio ad una delle sue probabili, antiche, abitatrici; sicuramente la più nota della sua famiglia.
Portinari, una delle tante famiglie che si erano inurbate a Firenze nel corso del Duecento, attratte dalla ricchezza che circolava in città e dalla facilità con cui vi si potevano concludere ottimi affari. Beatrice, “colei che porta beatitudine”, una delle figlie di Folco Portinari, facoltoso proprietario del palazzo di via del Corso.
Sono pochissimi i documenti storici che testimoniano la vita, l’esitenza stessa di questa donna: qualche atto notarile, qualche notizia in contratti di compravendita, il testamento del padre, Folco, che nel 1287 lasciava a sua figlia ‘Bice’ e a suo marito Simone de’ Bardi un lascito abbastanza cospicuo. Eppure lei, Beatrice Portinari, è conosciuta da tutti, tutti sanno chi è, il suo nome è una leggenda.
Beatrice, la donna al centro di quasi tutta la produzione artistica, poetica e non solo, di quello che è considerato il più grande autore italiano del Medioevo, e forse di tutta la nostra storia letteraria.
Ciò che Dante ci dice di questa donna, Beatrice, è in fondo quasi tutto quello che sappiamo su di lei: ma il velo della letteratura, della poesia non deve farci credere che tutto quello che leggiamo sia verità storica, registrazione di cronaca e di fatti realmente accaduti. Ma allo stesso tempo non si deve commettere l’errore opposto: ritenere che Beatrice sia soltanto un nome, una maschera, un fantoccio dietro cui non si celano altro che idee, simboli, allegorie. Beatrice è tutto questo, ma non solo.
Grazie a Dante questo nome non ha subito un destino di oblio, come tanti altri che incontriamo nelle iscrizioni delle nostre chiese, nei documenti impolverati degli archivi.
Tutti conoscono Dante e Beatrice e in città, il loro mito è divenuto una leggenda che si può rincorrere nelle strette strade del centro di Firenze
Il palazzo Portinari in via del Corso è proprio dietro la presunta casa degli Alighieri e la fantasia di molti ha provato ad immaginare un incontro dei due nelle strade lì intorno; proprio lì vicino si trova la chiesa di Santa Margherita dei Cerchi, la chiesa parrocchiale dei Portinari e degli Alighieri. Dentro la chiesa, sulla sinistra, sotto un altare, una lapide moderna identifica il luogo nel quale Folco Portinari fu sepolto insieme con la sua famiglia. Un’antica tradizione vuole che qui sia il luogo di sepoltura anche di Beatrice: centinaia di coppie da decenni entrano in questa chiesa per rendere un qualche omaggio alla donna amata da Dante, depositando sul suo presunto luogo di sepoltura un fiore, o lasciando un biglietto con un saluto o una preghiera.
La famiglia dei Portinari è rimasta legata a Firenze non solo grazie a Beatrice. Nella chiesa di Santa Margherita, accanto a Folco, è infatti probabilmente sepolta anche la sua leggendaria governante, Monna Tessa. La leggenda vuole che sia stata proprio Monna Tessa ad ispirare al ricchissimo Folco Portinari la costruzione di un ospedale per i poveri, un luogo grazie al quale espiare i peccati accumulati nella sua carriera di ricco banchiere. Nacquero così – ma questa non è leggenda, bensì storia documentata – la congregazione delle Oblate, guidate da Monna Tessa e specializzata nell’assistenza infermieristica agli ammalati, e l’Ospedale di Santa Maria Nuova, ancora oggi l’ospedale del centro di Firenze, uno delle istituzioni di assistenza ai malati più antiche al mondo ancora in funzione e in perfetta salute.
Recenti studi hanno ipotizzato che Beatrice non riposi nella chiesa dove forse aveva partecipato alle prime messe insieme con Dante, ovvero nella tomba della famiglia paterna; piuttosto, come è normale aspettarsi, fu sepolta nella tomba della famiglia del marito, i Bardi, dunque in Santa Croce, nella navata di destra vicino alla Cappella dei Pazzi.
Così molti degli innamorati che portano ancora oggi rose presso la lapide di Beatrice, forse non le offrono alla sepoltura della leggendaria donna amata da Dante. Ma i miti sono più forti dell’evidenza storica, più radicati; e questo, forse, Dante lo aveva già capito