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Impenetrabili torri d’argento XXIV

Forse la più radicata, sicuramente la più genuina e la più autentica e antica tradizione fiorentina. Quasi tutti i fiorentini, nel mondo, in città e in quello che un tempo si chiamava il ‘contado’ sono stati ieri all’erta, attenti a quella colombina che con il suo becco di razzo porta con sé, nel suo volo le preoccupazioni e le aspettative dei fiorentini, quelli del Dugento come quelli di oggi. I desideri e i crucci sono cambiati nel tempo, con il cambiare del mondo e della città: buoni raccolti, piogge abbondanti, campi fertili i desideri di una volta, oggi forse bramosie di successo, di salute e di serenità, meno materiali ma forse anche meno impellenti.

Una tradizione antichissima, iniziata nell’XI secolo, quando Pazzino de’ Pazzi riportò dalla crociata le tre schegge del Santo Sepolcro di Gerusalemme, dono del leggendario comandante dei cristiani in Oriente, Goffredo di Buglione.

Carro, buoi, tenebre, fuochi, ‘grulli’, bandiere: simboli, ognuno dei quali ha più significati, più messaggi da comunicarci dal profondo dei secoli. Immagini più o meno scoperte dell’evento della Pasqua; raffigurazioni simboliche della vittoria della luce sulle tenebre, della vita sulla morte.

Tradizioni che ci restituiscono un legame con il nostro passato, che ci dicono qualcosa di più di quello che siamo e dei luoghi dai quali veniamo, che riescono ancora oggi a farci scendere in piazza la mattina presto, a prestare attenzione al volo di un razzo e allo spettacolo pirotecnico di un carro in una piazza.

La colombina di ieri ha fatto un volo perfetto, uno scoppio da manuale: apertura perfetta delle bandiere e spettacolo di fuochi riuscitissimo.

A Vasco Pratolini le cose fiorentine sono sempre piaciute moltissimo, e lo scoppio del Carro ha attirato la sua creatività di scrittore: fiorentino, narratore minuzioso e attentissimo alla storia della sua città, della vita dei suoi quartieri e dei suoi abitanti, soprattutto i più umili, ma proprio per questo i più veri, ha raccontato in una sua pagina la buona riuscita del volo della colombina.

“Cronache di poveri amanti”, il racconto della vita cittadina degli abitanti di via del Corno negli anni Venti del Novecento. Lo scoppio del Carro raccoglie le aspettative dei fiorentini di Pratolini, così come di quelli che ogni mattina di Pasqua, da secoli e secoli, prestano attenzione a ciò che succede in piazza del Duomo.

“E come Alfredo aveva detto, piazza del Duomo era stipata di folla che assisteva alla cerimonia e seguiva ansiosa il cammino della «colombina» che dà fuoco al Carro, e dal comportamento della quale i villici deducono l’esito del raccolto, e ciascun altro spettatore l’esaudimento del desiderio che più gli sta a cuore.

La «colombina» incendiaria sfrecciò rapida lungo il fil d’acciaio steso dall’altar maggiore della Cattedrale all’esterno della piazza e raccordato al Carro. Carico, questo, di festoni che occultavano i mortaretti, disposti in tutta la sua altezza. Giunta a contatto del Carro la «colombina» appiccò il fuoco con la sua simbolica scintilla, facendo a ritroso la sua strada. Il Carro cominciò a scoppiettare giro giro. I mortaretti, sapientemente distribuiti, si incendiavano l’un l’altro, risalendo i diversi cerchi di cui è formato il Carro, fino alla vetta ov’è posta la girandola, che esplodendo in tutta la sua potenza e spengendosi drizzò tante bandierine. La cerimonia era finita. Le ossa degli antichi Pazzi a cui si deve la tradizione sussultarono, nell’avello, del loro annuale compiacimento. Già il custode avvicinava le due coppie di buoi ammantate e infiocchettate, che riconducevano il Carro al suo ricovero. La folla si disperdeva. La «colombina» era andata bene, questo conta”.