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Articolo di Asia Pieraccini

Nella realtà virtuale in cui siamo immersi, è sempre più difficile affidare il nostro sapere a fonti attendibili, piuttosto che a soggetti che non siano interessati al diretto profitto sull’impatto di una certa notizia invece che un’altra.

Non cercando verità, ma solo conferme ai nostri pregiudizi abbiamo seppellito un aspetto essenziale segno di un popolo civile: la capacità di pensiero critico.

Con il termine “conoscenza” si intende la facoltà psichica per la quale ciò che è nella nostra psiche consiste esattamente con ciò che esiste; la conoscibilità è la sua componente potenziale. Al contrario, con il termine “ignoranza” si intende la divergenza tra ciò che è nella nostra psiche e ciò che esiste realmente. A promuovere a dismisura la portata sociale di quest’ultima condizione contribuisce l’utilizzo dei social-media accompagnato dall’assenza di un organismo di autoregolamentazione dei contenuti veicolati da essi da chiunque e per qualunque ragione.

La disinformazione è ormai una minaccia economica e un’arma politica nelle mani di tutti e le nuove tecnologie non fanno che incentivarla, sfruttando lo spazio della legittimazione di queste piattaforme dando adito a tendenze ideologiche che incidono su opinioni e comportamenti di milioni di cittadini.

Una proposta è già stata presentata in Parlamento dai renziani di Italia Viva, muovendo dal fatto che il fenomeno ormai dilagato, è capace di condizionare in maniera determinante politica, opinione pubblica e reputazione di ogni cittadino, ragione per cui, per i firmatari è anacronistico non pensare ad una governance di internet che impedisca gli effetti negativi che prendono piede dalla bolla mediatica. Abbiamo vari esempi di strumentalizzazione dei social al fine di deviare i più vulnerabili influenzandone scelte di vita o elettorali.

L’associazione culturale antimafia emiliana “Corto circuito”, nata nel 2009, ha fatto perno sull’evoluzione della disinformazione (non conoscenza dei fatti reali) e sulla malainformazione (percezione dei fatti inesatta che diventa il luogo comune a cui dare sfogo su facebook). A prova di questo sono state poste domande a persone la cui la risposta (che sembra ovvia) si è rivelata sbagliata.

Alcuni esempi di smascheramento di luoghi comuni creati dai social sono riportati di seguito: “Gli immigrati hanno aumentato la delinquenza”: quando dati statistici dimostrano che nonostante la crescita di immigrati in Italia sia superiore a qualsiasi paese europeo e pari al 246%, il tasso di delinquenza del 2007 sia pari a quello del 1991.

“Gli omicidi in Italia sono aumentati negli ultimi anni”: quando nel 2009 ci sono stati 1/3 degli omicidi del 1991. “I clandestini in Italia arrivano tutti via mare”: ancora un altro mito da sfatare; infatti solo il 12% arriva via mare, il 73% arriva con tanto di visto dagli aeroporti italiani (che poi scadono facendo si che la situazione rimanga indisciplinata) e il restante 15% arriva via terra. Ciò significa che il rigore politico per il respingimento di massa di quel 12% ha un grande impatto mediatico e politico, ma non ha un riscontro concreto.

La necessità è quella di un intervento sovranazionale nella disciplina del rispetto della Governance della Rete per garantirne la protezione dalla pericolosità potenziale di strumentalizzazione in attuazione di attività politiche inneggianti o repressive.

Ai tempi del Covid-19 l’informazione torna totalizzante

Parlare oggi di questa emergenza è sicuramente lo strumento migliore per sensibilizzare gli ascoltatori così da averne un riscontro sociale efficace, ma ciò giustifica il dirompente disinteresse verso qualsiasi altro argomento indipendente? Siamo sicuri che nel mondo non ci sia nessun’altra questione su cui valga la pena di soffermarsi o per cui si necessiti di una soluzione comunque tempestiva?

Il rischio di minimizzare come quello di eccedere è nelle mani dell’informazione, che anziché avere un effetto sano (e sanante) nei confronti degli individui sulla percezione di ciò che accade, comporta un tasso di disinformazione e ignoranza in notevole crescita.

Bruxelles consiglia di attenersi ai siti web ufficiali e l’indicazione è “non condividere informazioni non verificate la cui fonte appare dubbia” o “ascoltare solo i pareri degli esperti”, ma finché questo “incoraggiamento” non si traduce in un soggetto correttivo competente che ne prende le redini queste carenze social(i) permangono.
Insomma…fino a che non pretenderemo davvero il rispetto del diritto alla rettifica e alla trasparenza dei mezzi di informazione, l’unica soluzione sembra essere “più libri e meno pc”.