Emilio Solfrizzi, noto attore di cinema e teatro, adesso è in scena nel ruolo del protagonista del “Il Borghese Gentiluomo” di Molière per la regia di Armando Pugliese fino al 5 febbraio al Teatro della Pergola
In scena oltre a Emilio Solfrizzi, ci sono alcune interpretazioni notevoli, come quella di Madame Jourdain (Anita Bartolucci) che tiene magistralmente la scena, senza mai diventare un ruolo secondario, che indossa i panni di una moglie pragmatica e realista, la quale sa che la vera nobiltà è quella d’animo e non quella sociale, sommergendo inutilmente di rimproveri il marito che non la ascolta.
Gli attori in scena sono tutti bravi, grazie ad una regia che ha usato alcuni espedienti per rivoluzionare alcuni personaggi: il servo Coviello (bravissimo Cristiano Dessì) in una maschera del teatro dell’arte. Da sottolineare il burlesco balletto pastorale del fauno e delle ninfe alla cena di Dorimene, che non è altro che una libera interpretazione dell’originale ma che ha coinvolto l’intero pubblico in una sonora risata.
Un eccezionale Emilio Solfrizzi veste i panni del protagonista e con la sua naturale comicità sottolinea e accentua i tratti di debolezza di Monsiuer Jourdain, per renderlo alla fine degno di compassione: la lotta di un uomo che cerca in ogni modo di liberarsi dalla prigione dell’ignoranza e da una vita che non gratifica le sue aspirazioni di conoscenza e bellezza, lasciandole solo un sogno (in questo caso la scenografia aiuta a esplicare questa sensazione).
Una commedia, tra divertimento travolgente e dal ritmo serrato, che strappa un sorriso, grazie al genio di Molière e grazie anche alla personalità di Solfrizzi, che riesce a farsi goffo e ridicolo al punto giusto, vittima perfetta della risata, ma il ridere non sminuisce assolutamente il senso della commedia. é stato magistrale nelle farsi vittima dell’ignoranza, ma sempre mantenendo una sua ironia. La mimica facciale da sola basta a delineare i tratti di quest’uomo.
Un Borghese fuori da ogni tempo, che veste abiti ridicoli, tiene pose goffe in “sinuose” danze, ma il meglio esce nella sua mimica facciale, superlativo nel prendersi e nel prendere in giro.
Meritati quindi gli applausi per questo eccellente cast di giovani.
Certamente le scelte costumistiche di Sandra Cardini, sono ottime: un pot-pourri che cita diverse epoche storiche con esiti alterni: il dramma satiresco della commedia greca, l’Ottocento, i costumi arabi, il tutto maliziosamente azzeccato.
La scenografia di Andrea Taddei è essenziale, divisa tra l’essere prigione e casa di Monsieur Jourdain: pochissimi arredi e solo nel secondo atto, per sottolineare ancora una volta che questo Borghese Gentiluomo non ha una contestualizzaione spazio temporale definita. Il cambio di scena avviene davanti al pubblico come fosse uno intermezzo con musiche e stacchetti di danza creati appositamente.
Intervista ad Emilio Solfrizzi
Salve, la ringraziamo per il tempo che ci ha dedicato. Quanta attualità c’è nel portare in scena oggi un’opera di Moliere?
Lo sai che potrei farti la domanda contraria? (Ride). Perché no? I motivi per portarlo in scena sono tantissimi, il primo ovvero la risposata più banale e che uno dei più grandi drammatughi di tutti i tempi, che ha scritto un testo immortale su un personaggio, quello di Jourdain che è diventato un archetipo. Quindi esso stesso è universale, e quando i testi, gli autori o i personaggi sono universali non hanno tempo. Anzi hanno questa qualità: li puoi a temporalizzare, toglierli dal loro tempo e metterli in qualsiasi contesto.
Il testo funziona lo stesso e ti accorgi che ha una validità per l’oggi e per il domani. Il lavoro che abbiamo fatto con Armando Pugliesi per questo testo è un lavoro diverso, perché tanti ci vedono solo l’arrampicatore sociale che con i soldi compra il titolo nobiliare, invece io credo che nella nostra visione ci sia un uomo un po’ diverso, e anche la scenografia del nostro spettacolo che è una prigione, è un non luogo e si svolge in non tempo. La prigione alla fine è il luogo dell’anima e uno come Jourdain, pure essendo ricchissimo, e pur avendo tutte quelle miserie di cui è pervaso il testo, ha un’aspirazione che in realtà lo rende commuovente perchè si vuol sottrarre alla galera del brutto, dell’ignoranza e quindi aspira a diventare nobile, laddove per nobiltà lui intende un luogo dove non avrà mai accesso.
Anche nel testo di Molière gli viene negata la speranza. Era un modo per tranquillizzare i nobili: i borghesi non potranno mai diventare nobili e la casta rimarranno loro. In scena invece il luogo non accessibile è quello della civiltà, del garbo, della bellezza.
Negli anni della sua carriera è passato da ruoli comici a ruoli in cui la comicità vuole essere di denuncia, un po’ alla Alberto Sordi. Quanto è importante il ruolo sociale dell’attore nella nostra società?
Non sono il primo a individuare il ruolo sociale dell’attore, non sono sociologo ma l’importanza dei punti di riferimento che hanno i grandi cantati sulle folle , quelli che diventano opionion leader vedi i Beatles: si fecero un taglio di capelli che poi tutto il mondo seguì. Quindi il ruolo dell’attore è quello di essere uno guardato da tanti e se ha un appeal particolare è bene che le sue azioni siano coerenti. Detto questo, in un momento dove la regola del vivere è il minimo sforzo per il massimo risultato, non è proprio quello nobile.
Negli ultimi 20/25 anni in particolare la televisione ha proposto le scorciatoie. Per diventare qualcuno o fare soldi, per carità le scorciatoie ci sono sempre state, però in un momento così difficile, le scelte che tu fai essendo visibile sono importanti per chi ti guarda. Il mio terrore è che si faccia credere ai giovani che si può fare il mestiere dell’attore solo per diventare qualcuno.
Ha recitato a Teatro, ha girato fiction per il piccolo schermo, e moltissimi film al cinema. In quale forma sente di arrivare prima al cuore degli spettatori?
Ti darò una risposta banale, non preferisco né l’uno né l’altro o meglio li preferisco entrambi.
Sono due mondi che sono facce della stessa medaglia, perché (cambia voce, è coinvolto nella riposta) quando fai un film bello e vai a vederlo nella sala buia nel luogo del cinema, davanti ad uno schermo immenso è tutt’altra cosa. Non a caso il cinema è stato chiamato la settima arte, perché riesce a tirarti fuori emozioni straordinarie dal comico al drammatico facendoti sognare veramente. Il cinema è visione, ma ti inchioda lì e ti impone un suo punto di vista.
(cambia voce, teatrale) Certo, il teatro, ha quella magia della non repetibilità, il cinema vai dieci volte ed è sempre quello, il teatro è magia perché ogni sera è diversa. La gente che ti guarda ti trasferisce le sue emozioni, attraverso applausi e risate che saranno sempre diversi dal pubblico della sera precedente. Il teatro ha l’immediatezza e la percezione diretta che altre discipline artistiche non hanno. Però … però… il cinema…
Nella sua carriera, quale è il personaggio più significativo che ha interpretato o al quale si è legato di più?
In tv senz’altro quello di Paolo Giorgi, in “Tutti pazzi per amore”, perchè è anche una fiction bella e di qualità, e ti da la possibilità di spiegare tanto il tuo personaggio e quindi di poterlo raccontare con moltissime sfaccettature. E Paolo Giorgi ce le aveva. Però i personaggi a cui sono legato sono due: il tenente Fiore di “Al Alamein – la Linea di Fuoco”, un film del 2003, un rarissimo film di guerra italiano che credo sia un film di grandissima qualità diretto da un regista e sceneggiatore che io amo tantissimo, Enzo Monteleone. Anche perchè è stata un’esperienza importante e bellissima, siamo stati per due mesi in un deserto marocchino, per raccontare le vicende dei soldati italiani nel 1942. un’esperienza che mi ha segnato emotivamente e umanamente. Anche perchè è rimasto tra me e gli altri attori, Favino, Briguglia, un rapporto fortissimo come se fossimo stati tutti segnati da un’esperienza che è solo nostra ed è raccontabile semplicemente, ma gli altri non l’hanno vissuta. E poi un film che ho adorato fare e vedere, tieni conto che io non amo moltissimo rivedermi, è quello che ho fatto con Belen “Se Sei così ti dico di sì” di Cappuccio, che il pubblico del cinema ha rifiutato, il perché mi importa di meno e non lo so, ma che ha adorato il pubblico della tv quando è passato su Sky, un film prodotto dai Fratelli Avati, con la regia di un grandissimo Cappuccio, dove interpretavo il personaggio di un cantante che aveva avuto un successo clamoroso in una sola stagione e con una canzione balneare, ma quando ha proposto realmente se stesso è stato rifiutato dallo star system. Il film inizia con lui che fa l’aiuto cuoco in un ristorante scarso di pesce in Puglia, e sono passati tantissimi anni: lui è ingrassato, senza capelli, e in qualche modo, quasi crudelmente, la tv lo vuole rivedere e quindi lo ripongono. Lui non vuole andare ma alla fine va. Rimettendo così in piedi un carrozzone a metà tra il grandissimo divertimento e la malinconia. Perchè c’è una tristezza in questi personaggi che ad una certa età si ripopongono in tv così com’erano trent’anni prima a confronto con l’oggi, e c’è una crudeltà anche dalla parte della televisione che ti mette un video di come eri e come sei. Un personaggio proprio bello, che per un attore è quasi una sfida interpretare.
Quanto potrebbe essere attuale oggi il personaggio di Lino Linguetta?
Ride. Linguetta è un personaggio universale, è capitato di farlo a me e sono molto felice, è senza tempo un po’ come i personaggi universali di Moliere e il voltagabbana quello che asserisce una cosa con l’arroganza e la protervia senza tema di smentita e poi basta un cambiamento del potente di turno e lui immediatamente tira fuori la lingua da leccaculo e che poi in qualche modo, ognuno di noi ha dentro di sè. La cosa divertente di Linguetta era che tutti si divertivano per il fatto esteriore, cioè che lui tirava fuori la linguetta, ma dentro di noi…. (ride) una parte di linguetta esiste in tutti. Quel personaggio, ora che me lo fai ricordare, è nato a scuola, quando c’era sempre quello che alla maestra rispondeva per primo. (ci fa l’imitazione di Linguetta solo per noi, con la promessa di non riprenderlo con un video). I Linguetta esistono e sono dentro di noi, perchè se noi avessimo abolito dentro di noi la figura del Linguetta non ci sarebbero neanche nella società. E ne è pieno il mondo, più di quanto tu possa immaginare visto che sei così giovane. E se tu ne fai fuori uno, ne spunta un altro. Sono quelli che vanno in tv a parlare e sono tuttologi, si esprimono su qualsiasi argomento e lo fanno con dovizia di particolari e cognizione. Come se fossero veramente competetenti, sono quelli che ricoprono posti nevralgici e non sai spiegarti perché loro: nell’amministrazione, nella cultura, senza competenza per esserci però capisci che vanno dove va il vento. E Ad un tratto cambia un titolo di giornale, una politica culturale, una politica economica. Alla fine linguetta è in noi e tra di noi.