Tre lunghe (a tratti vivacissime, sempre interessanti, ma forse fin troppe) ore di spettacolo per il tour di “Caravaggio”, lo show di Vittorio Sgarbi che sta facendo un autentico giro divulgativo su e giù per l’Italia
Appuntamento infrasettimanale nel capoluogo fiorentino, mercoledì 1 marzo, con un prevedibilissimo ‘sold out’ tanto da prevedere un’ulteriore data anche nel mese di maggio, sempre all’Obi Hall di Firenze sud, ancora una volta in un feriale martedì.
All’ex-Tenda (come a Firenze ancora in tanti continuano a chiamarlo) fila tutto come previsto: le aspettative non vanno deluse, a volerla dir tutta ad eccezione di un solo ‘capra’ lanciato dal palco verso un pubblico in trepidante attesa di questo che è divenuto un autentico marchio di fabbrica del critico dell’arte più famoso dello stivale. Del resto, però, a parte (si immagina) un canovaccio, il copione non è scritto, e il Ferrarese va quasi a braccio: ogni lezione è quasi una storia a sé, varrebbe quasi la pena tentare il bis.
Le opere del Merisi appaiono, scorrono, si sfumano e il pubblico si compiace dell’istruzione fin dentro i particolari più nascosti, raccontati con la maestria del professore e, inutile negarlo, senza rinunciare a qualche puntatina di ironia pungente. Doppi sensi studiati ad arte, che Sgarbi, come al solito, non lascia sottintesi: un “Caravaggio bisessuale, forse addirittura gay” offre spunti che sin dall’introduzione riportano prima a Pier Paolo Pasolini, poi fino alla sentenza del tribunale di Trento che ha riconosciuto a un bambino nato all’estero con la pratica dell’utero in affitto il diritto di avere due padri omosessuali, vicenda che Sgarbi chiosa come ‘la morte della mamma’ (aggiungendo: ‘pensate che sarebbe Gesù Bambino se, anziché la Madonna, avesse due San Giuseppe’).
Tra una Conversione di san Matteo (definita da Sgarbi ‘il primo cortometraggio della storia’) e un Fanciullo con canestro di frutta (lì, pronto a concedere il suo corpo a uno scambio affettivo omo-erotico) c’è il tempo per raccontare com’è nata la Padania – e non Padanìa (termine coniato, a suo dire, non da Bossi, ma dallo stesso Sgarbi, che al Senatur dimenticò di comunicare l’accento) che Renzi è uno bravissimo ‘a metterlo nel culo’ (a Firenze, roccaforte renziana, il pubblico non sommerge il critico dell’arte di fragorosi applausi come in altre occasioni) che lo scrittore Moravia e Silvio Berlusconi era normale non chiedessero l’età (rispettivamente) dei ragazzi e delle ragazze con i quali e le quali gradivano trascorrere parte del proprio tempo libero. Quando si tratta di sviscerare eros e pathos, con un accenno alla cronaca, Sgarbi conferma di non essere secondo a nessuno .
Opere d’arte e giovani ragazzi di strada (protagonisti delle ombre di Caravaggio, al pari di quelli coi quali al buio della notte Pasolini amava appartarsi) sono i protagonisti indiscussi della serata, personaggi ricorrenti e inattesi, dal Bacchino malato al Suonatore di liuto. A proposito di corde: apprezzatissimi gli intermezzi col violino di Valentino Corvino.
Arte-e-non-solo, dunque, dal palco: un modo per svelare la straordinaria attualità di un artista notissimo come Caravaggio, riscoperto nel Novecento dopo secoli di oblio, così moderno e a tratti con molto da scoprire, capace di trasmetterci ancora di più dopo aver assistito a questo spettacolo “di e con Vittorio Sgarbi”, adatto alle menti curiose per quell’intelligenza controversa, ma schietta, di un autentico show-man.
Andrea A. Bonacchi