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Oggi alle ore 16:00 in Consiglio Regionale ci sarà il convento “Alla ricerca delle riforme perdute”. Interviene l’on. Craxi.

L’on. Stefania Craxi sarà a Firenze per l’evento Alla ricerca delle riforme perduteorganizzato al Palazzo del Pegaso.

Queste le sue dichiarazioni a Sei di Firenze se.

Passano i decenni e resta sempre attuale la necessità di una Grande Riforma. Cosa aveva in mente Craxi e perché non è riuscito a portarlo a termine?

Sono passati oltre 40 anni e ben dieci legislature da quando Bettino Craxi pose con forza l’idea di una “grande riforma” delle istituzioni. Per capire cosa avesse in mente è sufficiente andarsi a rileggere il famoso saggio “VIII legislatura” che nel settembre del 1979 il leader socialista scrive su l”’Avanti”. Craxi parla di una “grande riforma” che abbracci insieme l’ambito istituzionale, amministrativo, economico-sociale e morale, che trascenda dalle alchimie politiche e dalle contingenze del momento. I tempi, che magari allora potevano sembrare precoci, non andarono mai a maturazione. Il sistema prima restò impantanato nella palude di una “democrazia bloccata”, e poi, con la caduta del Muro e il giungere della “falsa rivoluzione di “Mani pulite”, tutto cambiò per non cambiare nulla. Craxi non vi riuscì, osteggiato da convenienze ed opportunismi trasversali al sistema. Fu vittima delle due “chiese” e dei conservatorismi. Ma la sua sconfitta è la sconfitta del Paese. E ancora oggi pesa.

Siamo ancora in tempo per riformare il Paese?

Non solo siamo in tempo, ma dovremmo affrettarci a farlo. La nostra democrazia ne ha un disperato bisogno. Oggi le principali forze di governo vivono alla giornata, ma nessuna delle due ha una “idea di sistema”. Nonostante tutti i limiti ed i fallimenti della seconda repubblica – le cui macerie abbiamo sotto gli occhi – seppur in maniera forzata ed impropria si era diffusa la convinzione di stabilizzare il nostro sistema politico intorno ad uno schema bi-polare e maggioritario. Ma oggi, dopo il voto del 4 marzo scorso, questo schema non c’è più. E pochi si interrogano su come riorganizzare il campo. In questo vuoto si addensa la crisi delle istituzioni, con tentativi pericolosi volti a delegittimare la democrazia rappresentativa.

Quali settori dovrebbe investire una riforma?

Una seria riforma non può che interessare innanzitutto la forma di governo. E penso che devono essere i cittadini a scegliere, con un referendum, la direzione da intraprendere anche con l’elezione di una “Assemblea costituente” poiché il Parlamento come abbiamo visto è del tutto incapace, secondo le procedure del 138, ad avanzare un progetto organico di riforma. Gli altri nodi riguardano l’assetto dello Stato – centrale o federale e le materie da ripartire o avocare – nonché il tema della Magistratura: siano i cittadini a scegliere sulla separazione delle carriere.

Esiste una maggioranza in grado di sostenere un progetto di riforma? Perché l’attuale governo non l’ha inserita nelle sue priorità?

In questo scenario l’esigenza di una riforma del sistema debba essere una materia che non può, come insegna l’esperienza fatta nel corso della seconda repubblica, essere figlia dell’imposizione di una maggioranza su una minoranza. Minoranze e maggioranze cambiano e passano, le regole restano. Serve uno spirito costituente, questo sì. Uno spirito che non vedo, né nell’attuale governo, né tantomeno in certi settori delle opposizioni, nonostante alcune iniziative che io per prima, insieme ad alcuni colleghi soprattutto di FI, stiamo portando avanti. E poi si è diffuso un mantra secondo cui le “riforme costituzionali” non generano crescita e sviluppo, cosa pericolosa e sbagliata. Un sistema come il nostro, che non produce stabilità e decisioni, che vive nella perenne precarietà ed incertezza non è in grado, come vediamo, di far fronte alle sfide economiche del nostro tempo.

L’Italia è pronta ad una svolta presidenziale?

Tutta l’esperienza e la stessa storia dell’ultimo quarto di secolo spingono verso un sistema di governo semipresidenziale. I sistemi presidenziali sono quelli che più di altri riescono a far fronte ed a garantire con coerenza, senza torsioni ed iperboli poco comprensibili all’elettorato, governabilità e rappresentatività, specie innanzi alla scomposizione degli assetti tradizionali dei sistemi politici ed alla nuova polarizzazione, che potremmo impropriamente semplificare tra forze ‘sistema’ ed ‘antisistema’. Il presidenzialismo non è solo un valido ed efficiente sistema di governo, ma rappresenterebbe per il nostro Paese una terapia d’urto utile ad affrontare e risolvere antichi mali e nuovi vizi.

 

Perché manca una cultura riformista, trasversale agli schieramenti politici? Come svilupparla?

In un contesto di delegittimazione della politica, dello svuotamento democratico delle istituzioni, la cultura riformista non poteva non finire in soffitta. L’irresponsabilità e l’improvvisazione hanno preso il sopravvento. Per svilupparla ed infettare positivamente il sistema tutto, serve pertanto ripristinare non dico il primato, ma almeno un po’ di autonomia della politica. Servono meccanismi di selezione e di formazione della classe dirigente, luoghi di elaborazione del pensiero ed iniziative volte a restituire democraticità ai processi istituzionali nazionali ed extra-nazionali. Proprio quest’ultimo è un tema che interessa anche e soprattutto l’Unione europea. Questi che giudico prerequisiti sono fondamentali per creare una cultura di governo che, al di là delle diversità, contribuisce alla crescita economica, civile, sociale e democratica di un Paese e sono i presupposti attraverso i quali può rinascere una cultura riformista adatta ai nostri tempi. Ma come diceva Craxi, per farlo, servono idee, uomini e linguaggi nuovi.

Convengo riforme, on. Craxi