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Emmanuel Macron è il presidente francese “designato”: con otto milioni e mezzo di voti al primo turno, questo funzionario politico con l’esperienza di ministro dell’economia nel governo Valls, approdato al ballottaggio per le elezioni presidenziali con meno di 1 voto su 4, è predestinato a ricevere i consensi di tutti coloro che vogliono scongiurare (cosi quel che costi) la vittoria della leader no-euro, espressione del partito di estrema destra francese, Marine Le Pen.

“Né di destra, né di sinistra”

Macron è una sorta di Renzi d’Oltralpe: esperienza politica nel centrosinistra, ha però dato vita a un suo partito senza l’ambizione (e la capacità) di affermarsi e prendere il mano il partito socialista di Hollande, Jospin e Mitterand. “Non sono né di destra, né di sinistra” è il modo col quale definendosi ha segnato il suo destino di centrista moderato. Ha preso un milione e mezzo di voti in più del gollista Fillon, altrettanto del rappresentante della nuova-sinistra Melenchon e stracciato il rivale socialista Hamon, fermo a un misero 6%, candidandosi al ballottaggio come il destinatario dei voti di tutto il complesso e frammentato panorama politico francese.

Le Pen battuta proprio a Parigi

Macron ha battuto nettamente Marine Le Pen a Parigi e, come noto, il peso specifico della Capitale della Francia e dei Francesi, ha storicamente giocato un ruolo-chiave nella storia di quel Paese. Se Marsiglia, Bordeaux, Lione hanno un ruolo di tutto rispetto nell’economia di questa potenza europea e globale, con forti peculiarità sociali che le distinguono da Parigi, la Francia è non a torto da sempre considerata una immensa periferia della sua capitale. Ed è proprio qui, nella Parigi colpita a ripetizione dagli attentati islamici, nella Parigi del Bataclan e di Charlie Hebdo, nella Parigi del Louvre e dei Capi Elisi, del Ritz e della banlieu, che il messaggio legge&ordine della destra lepenista non ha trovato il terreno fertile che sperava per far breccia, una volta per tutte, nei risultati delle urne.

Ballottaggio: vincerà il male minore

Il Fronte Nazionale ha ottenuto un risultato storico, andando oltre il risultato che già anni fa portò il suo leader e fondatore, Jean-Marie Le Pen, al ballottaggio contro il gollista Chirac. Oggi il partito della destra francese vale 4 punti percentuali più di allora, molto, ma non a sufficienza per puntare dritto all’Eliseo. La “solidarietà nazionale”, secondo tutti gli analisti, consentirà di convogliare suo rosa pallido Macron tutti i voti non lepenisti, consentendogli un’agevole vittoria al secondo turno. Poi, il nuovo presidente dovrà preoccuparsi di governare sapendo perfettamente che di quell’80% (stime) di voti, solo un quarto proverrà da suoi veri supporters. Sarà, quindi, un vincitore di risulta, il “male minone”, il “meno peggio”.

Le sfide di un Presidente

E così, se Parigi ha decretato la sconfitta della Le Pen, come se Milano riservasse una sorpresaccia per Salvini e la Lega alle prossime elezioni politiche italiane, o Firenze tradisse Renzi alle primarie del PD, vero è che i problemi sono dietro l’angolo per coloro che si presentano come i vincitori statistici della consultazione popolare in questione. Macron, dopo la disastrosa presidenza Hollande, dovrà dimostrare sin dal primo giorno di essersi meritato un ruolo quanto mai oggi delicato come quello del Presidente francese. Un Paese spaccato in cinque, di fatto difficilissimo da governare, un’Europa che va ripensata (e ciò è impensabile farlo senza la Francia), un quadro geo-politico internazionale all’interno del quale Parigi dovrà dimostrare leadership internazionale, senza prepotenze da Grandeur.

Il 27 aprile esce in Italia il libro del “presidente designato”: titolo ambiziosissimo. Sarà bene che Macron, sempre che tutto vada secondo pronostici, pensi poi a scrivere meno bene pagine e pagine di buone intenzioni, e si ricordi di avere in mano la penna per riscrivere parte della storia.