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I caratteri a disposizione sono pochi per raccontare quello che gli occhi e la ragione dello spettatore hanno portato con sé all’uscita dal Teatro.

Teatro della Pergola, anno 2017.

Si apre il sipario e si viene catapultati in una tela di un dipinto che ricorda i quadri di David o Caravaggio.

Parigi, anno 1794.

L’uso della luce sapientemente studiato (ad opera di Paquale Mari) per portare lo spettatore a riflettere, puntando una luce che illumina sui desideri peccaminosi, gli ideali vivi e le illusioni di un miglioramento. Intorno cinque pannelli di velluto color della porpora separano le scene in un divenire continuo, ora calano come lame di ghigliottina, ora si adagiano su corpi promiscui, ora sono decori nei comizi creando anche ambientazioni mobili e sovrapposte, con un montaggio (quasi) cinematografico.

L’opera portata in scena dal regista Mario Martone (direttore artistico del Teatro Stabile di Torino – Teatro Nazionale) è tratta da “Morte di Danton” scritto in sole cinque settimane tra il gennaio e il febbraio del 1835 dal ventunenne scrittore e anatomista tedesco Georg Büchner, in fuga dalle autorità dell’Assia dove era stato coinvolto in una rivolta e terrorizzato di essere arrestato per la sua intensa attività politica.

Morte di Danton” descrive l’atmosfera degli ultimi giorni della Rivoluzione Francese, il periodo definito “Terrore”, la caduta di Georges Danton nel 1794 e l’antagonismo che lo contrappone a Maximilien Robespierre. Il testo prende vita proprio sulla contrapposizione tra i due protagonisti della Rivoluzione francese, compagni prima e avversari in seguito, entrambi destinati alla ghigliottina a pochi giorni di distanza l’uno dall’altro, ma NON solo, perchè si affrontano tematiche intense come la natura vera della Rivoluzione, il concetto di classe sociale, la differenza nel rapportarsi tra uomo e donna, il fine sociale dell’essere teatro.

il testo è stato allestito nella nuova traduzione di Anita Raja.

Il cast è notevole, trenta attori tra i quali spiccano Pierobon nel ruolo di Ropesbierre, Battiston in Danton.Si può tranquillamente affermare che, per il teatro di oggi, è stata una sfida (vinta) portare in scena questo testo e un cast così grande. Qui tutto è stato studiato nei dettagli, oltre alle scene curate da Mario Martone, grande cura è stata data ai costumi che sono fedeli a quelli dell’epoca per NON snaturare il testo al quale vi è la volontaà di essere il più fedeli possibili. Il primo impatto è pensare che questo testo sia lontano storicamente, ma più prende corpo e piu c’è la consapevolezza che possa parlare anche una lingua dei giorni nostri,  Büchner è straordinariamente moderno, fa luce sui moti esistenziali che partono dai sentimenti come avidità e fanatismo di un’idea. Il tratto distintivo di ogni dittatura è quello di eliminare gli avversari nel modo più veloce possibile ieri come oggi per sdradicare ogni idea alla radice. E nell’ultima scena, il popolo/spettatori osservano la ghigliottina che toglie l’ultimo sussulto di vita a questi corpi, ed è inquietante pensare che ancora oggi in alcune parti del mondo avvengono simili esecuzioni e che ancora ci sia una popolazioni di spettatori inermi.

morte di d’anton regia mario martone produzione teatro stabile di torino 2016 2017 fotografie mario spada.

 

In scena corpi, pensieri e tormenti: la filosofia della Rivoluzione si fa viva nei suoi contrastanti personaggi.

La caratteristica che accomuna i personaggi è la fragilità della condizione dell’uomo. Condizione che si trasforma poi in disillusione, che pervaderà l’uomo dell’900.

Nel suo essere rivoluzionare l’uomo resta fragile perchè sa che NON può sottrarsi al suo destino, sia esso voluto da Dio o dal Caso. E l’uomo vive nella fragilità ricercando un costante senso di equilibrio tra giusto e ingiusto, a causa dell’ingiustizia che egli è destinato a subire.

L’opera è un affresco sulla Storia, tra terrore e libertà, uguaglianza e disparità ma anche una riflessione profonda sull’attualità, sul male che il Potere ha in ogni tempo storico e in ogni civiltà. Sul palcoscenivo noi vediamo lo scontro che si è già visto nella storia, quello tra Robespierre e Danton, ma questa volta ci caliamo nelle mille sfaccetature dell’animo umano, tratteggiate dal sangue caldo della Rivoluzione Francese.

La Storia è alimentata dalle figure Danton/Robespierre ma il tratto dell’umanità è sviluppato dalla presenza dei personaggi minori.

 

Danton, rappresentato benissimo da Battiston nel suo vigore fisico, nel suo essere liberale era consapevole che il Terrore voluto da Robespierre fosse il limite stesso della Rivoluzione. Egli si slancia nei piaceri della vita mantendo un ruolo politico e quello di uomo, come si vede durante la scena in cui ha gli incubi notturni in seguito al massacro del settembre 1792. Danton sognava una Repubblica dove “ognuno godesse a modo suo purchè NON a spese dell’altro” questa è la massima difensa del concetto di mondo libero. Danton è l’uomo che ha dato due volte la propria vita alla Rivoluzione, prima come racconta nella sua arringa difensiva per liberare il popolo lottando contro il Re, e poi adesso condannato proprio da quel popolo per il quale si è battuto e che adesso gli volge le spalle. Quella Rivoluzione che lui ha creato lo sta per fagocitare. Il personaggio di Danton si sviluppa in due parti, nel primo atto troviamo un uomo libertino dedito a piaceri senza freni e alla leggerezza,  nel secondo atto tira fuori la sua natura e durante il processo condotto da giudici corrotti, sboccia il suo valore morale fino ai sentimenti di paura davanti alla morte. Il suo scetticismo religioso si nota nelle sue riflessioni in carcere “Risiederò a breve nel nulla” oppure quando pensa alla Rivoluzione rendola forte nel decidere chi vive e chi muore “Non siamo noi a fare la rivoluzione, è la Rivoluzione che ci ha fatti”.

 

Robespierre, magistralmente incarnato da Pierobon, invece è tratteggiato come un fanatico, fermo nelle sue idee giacobine, stoico e privo di qualsiasi piacere, lucido nel suo essere incorruttibile, e per quanto strano possa sembrare egli trova forza in quella religione (a tratti pare calvinista) che è di per se stessa anche il suo limite. “L’arma della repubblica è il terrore, la forza della repubblica è la virtù”.  Quando si trova solo all’ingnocchiatoio in preghiera, sembra volersi redimere in vista della morte che lo attende. Il suo essere solo NON lo rende meno afflitto, lui che era da sempre contrario alla pena di morte (ispirato dalle idee progressiste di Cesare Beccaria), la fa diventare uno “strumento senza il quale la Virtù è impotente

 

Un altro personaggio che sa emozionare è la figura di Camille, che è sia un animo di infanzia di Ropespierre che fedele politico del pensiero di Danton. Esce un personaggio umano, puro nell’amore la sua famiglia e aperto alle idee, terrorizzato durante l’attesa nelle carceri, tanto che Danton lo culla come fosse un bambino spaventato da un incubo notturno.

Toccanti se pur diversi tra loro i tre monologhi delle tre figure femminili, sono tutti apolitici, passionali e razionali. La prostituta di Danton, si sveste dei vestiti per calarsi maliziosamente in una vasca dove trovare una redenzione, forse oggi a teatro si è perso il controllo della nudità che NON suscita stupore ma lascia indifferenti. Nel raccontarsi a Danton, qui intimo confessore, ella cerca di discolparsi della sua misera vita.

Tragica quanto una donna sa essere è la figura di Julie, portata in scena da Iaia, nata dalla fantasia del drammaturgo. Decide di ammazzarsi mentre il suo Danton è sul patibolo per restare fedele all’Uomo e all’Idea che portavano avanti insieme.

Infine, decisa e definita nel dolore è Lucille, madre e moglie di Camille che NON accetta la morte del marito per mano del caro Robespierre. Decide di “suicidarsi” all’arrivo delle guardie gridando un “Viva il Re” perchè sa che per questo oltraggio la condanna è soltanto una: morte per ghigliottina.

 

E nel tratteggiare le caratteristiche di questi personaggi si percepisce il fallimento della Rivoluzione, perchè manca un compromesso e il sangue versato per placare le pance vuote del popolo è solo un diversivo. Una riflessione sulla modalità con cui pochi riescono a guidare il popolo, che è repentino nel cambiare umore e idee. Ed è proprio l’avidità di potere, tipica dell’uomo al comando, anche se mosso da un’intrinseca nobile idea a rovinare le sue azioni; nella figura di Robepsierre Pierobon riporta tutta l’energia che sprizzava durante i comizi per aizzare le folle contro l’aristocrazia e la borghesia. Il popolo rivendicava una giustizia sociale che sfogò nelle più cruenti uccisioni, ma che invano risolsero i problemi: carestia e povertà, ma la rabbia sfogata serviva a calmare i loro animi ma NON le pance. Da questo testo si evince che un popolo ignorante e senza un senso critico diventa come argilla nelle mani di chi se ne serve, la massa stessa è il concetto di Rivoluzione, che fallisce proprio perchè Poi ha la maturità e la cognizione di se stessa.

 

Interessente come la platea si trasformi e prenda vita, la scena “scende” e inonda la sala creando così l’impressione di essere parte di quel popolo che grida vendetta. Facendo diventare il pubblico parte integrante. La “Marsigliese” diventa una corale del popolo, come la marcia della morte da parte dei condannati a morte che attraversano a testa china tutta la platea come se fosse stata tramutata per un attimo in una piazza dove svolgere una pubblica esecuzione. Gli spettatori accompagnano con  lo sguardo questi uomini, giudicandoli come solo l’uomo sa fare.

 

Lo spettacolo che dura tre ore e mezza è in un crescendo anche se va riconosicuto che in alcune scene l’attenzione cala proprio per la loro difficoltà di comprensione come durante la dissertazione che si svolge all’interno della prigione sulla metafisica e sulla presenza di Dio oppure le scene del Comitato della salute che, a causa del sonoro malgestito, rendevano difficile la comprensione delle battute degli attori sul palco.

 

Sicuramente questo spettacolo NON lascia indifferenti, ma la bravura degli attori e le scelte della regia aiutano molto lo spettatore a lasciarsi coinvolgere: La storia dovrebbe insegnare per NON ricommettere gli stessi errori, ma a quanto pare l’uomo è sordo e cieco. Bisogna confidare in un teatro che si “fa sociale” e che cerca ancora una volta di prenderci per mano e di spazzar via le nostre misere meschinità.