L’Università cambia i criteri di contribuzione, la produttività come criterio ma senza guardare troppo al reddito delle famiglie ed ai problemi dell’Ateneo. Siamo sicuri che siano tutti “fannulloni” i fuoricorso ?
Non è passata inosservata la proposta presentata dal Rettore dell’Università di Firenze agli organi centrali dell’Ateneo, tasse più pesanti per chi non produce. Una tagliola che apparentemente soddisfa la sete di meritocrazia ma che non considera le tante diversità in una società che sta cambiando. Associare le tasse alla capacità di dare esami non sembra una cattiva idea. La produttività non deve essere l’unico criterio specialmente in un momento dove la percentuale di studenti lavoratori sale alle stelle e dove il “bamboccione” è più un mito inventato da qualche politico fuori dal mondo che una realtà diffusa. Fa davvero effetto leggere le dichiarazioni, rilasciate a gennaio, del Rettore il quale prometteva più appelli e meno fuoricorso oltre che uno studio attento delle problematiche degli studenti. Per ora la priorità sembra la solita: fare cassa.
Studente lento o università di Firenze male organizzata ?
50mila iscritti, sono più di 17mila quelli non in regola con il percorso di studi. Il 35% della popolazione universitaria, un +8% rispetto al Politecnico di Milano. Se l’Ateneo decide di guardare ai numeri allora è bene che guardi pure questo impietoso dato che vede l’Università di Firenze in netto ritardo anche con altre università ( Bologna e Padova). Le statistiche aiutano ad argomentare e quindi se i numeri parlano chiaro allora anche l’Ateneo deve guardare cosa non va al suo interno. Per questo è necessario attivare un percorso di autovalutazione che dovrebbe essere condizione necessaria per poter pretendere dagli studenti. Diciamocelo chiaramente, ci sono delle facoltà poverissime di appelli ( uno al mese e quindi tre a sessione) che rendono impossibile sostenere più esami a semestre, specialmente con certi carichi di lavoro. Un esempio è la facoltà di economia, un percorso impegnativo per lo studente il quale si trova a dover combattere anche con la rigidezza di un sistema fuori dal tempo. Altri esempi provengono dai percorsi di studi tecnici ( ingegneria, architettura) o sanitari a cui si aggiunge anche giurisprudenza che gode di prestigio ma anche di una carico di lavoro importante per la tesi.
Venirsi incontro, guardare la nuova realtà
La realtà della nostra società è cambiata, si parla sempre di disoccupazione giovanile e di famiglie in difficoltà; è davvero necessario generalizzare e punire l’improduttività a prescindere? Un giovane in difficoltà perché fuori sede, schiacciato dagli affitti pesanti di Firenze e/o dalla precarietà di qualche impiego di fortuna è punibile al pari di chi, potendoselo permettere, prende con comodo il suo percorso di studi ? Sono queste le domande che pongo, da ex studente, all’Ateneo fiorentino. L’applicare della norma non può prescindere dal dare uno sguardo alla popolazione universitaria.
Prendere spunto da altri
La mia esperienza all’ Università di Firenze si è conclusa con la laurea triennale in giurisprudenza, durante il mio percorso di studi ho fatto gli stessi lavoretti che fanno tanti altri per non pesare sulle famiglie e per avere autonomia. Sono stato fuori corso ( un anno, quindi nella media) e sto continuando gli studi a Roma, presso La Sapienza dove gli appelli per gli studenti lavoratori non mancano e dove chi è fuori corso non viene punito ma aiutato a rientrare nei tempi previsti. Parlare di merito senza guardare chi suda per avere certi risultati è retorico e fuori dal tempo, l’Università deve essere all’avanguardia e questa superficialità non fa certo onore a Firenze.