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Creatività, passione e Firenze. Sono questi i tre ingredienti della ricetta perfetta che hanno dato vita alla favola di Alberta Florence. Ecco l’intervista a Giulia Mondolfi per saperne di più!

Chi c’è dietro ad Alberta Florence?

Un architetto paesaggista che si è reinventato. Come tanti ragazzi della mia generazione, pur di rimanere in Italia, mi sono rimboccata le maniche e ho cercato nuove opportunità. Oggi posso dire di essere stata fortunata a trovare il modo di esprimere la mia vena creativa e rimanere nel mio paese. Credo siano state la passione, la testardaggine e la costanza a guidarmi.

Da dove nasce l’ispirazione del brand?

Cinema, arte, letteratura e architettura sono per me fonti inesauribili. Cerco di sintetizzare tutto quello con cui vengo in contatto e lo ripropongo nelle mie creazioni. Naturalmente gli studi che ho fatto e il lavoro di landscape designer influenzano molto le forme, i colori e le fantasie degli abiti che disegno. Abiti dalle linee semplici e dalle fantasie spesso geometriche e floreali.

Ma ciò che m’ispira maggiormente sono le persone. Mi affascina cogliere le contraddizioni, le fragilità e anche la bellezza dell’essere umano: può essere una conversazione, un modo di parlare, di camminare, un gesto, uno sguardo, un momento di felicità. Mi piacere pensare che la creatività e l’arte, come succedeva nella Firenze del Cinquecento, siano soprattutto un mezzo per guardare la realtà con occhi diversi e riscoprire il vero senso del vivere.

Che stoffe utilizzate per realizzare gli abiti?

Cerco tessuti di vario tipo, ma solo fibre naturali come cotone, seta, viscosa e lino. Il filo conduttore sono le stampe. Se una stampa mi colpisce, ne acquisto subito qualche metro, anche se non so ancora cosa diventerà. È una mania da collezionista.

Realizzate anche abiti su misura. È difficile conciliare le richieste del cliente con la realizzazione effettiva dell’abito? 

Per niente! Anzi, questa è la parte più divertente del lavoro: si chiacchera, si cerca insieme lo stile più adatto e si costruisce l’abito. È senza dubbio la parte più stimolante del lavoro.

Quali sono, se ci sono, i progetti futuri di Alberta Florence?

Mi auguro di continuare a crescere! E spero di riuscire a portare il nostro made in Tuscany all’estero. Inoltre, come ho cercato di dimostrare con il progetto presentato all’ultima edizione del Fuorisalone dove ho esposto tre abiti realizzati con i tessuti di “Guri I Zi”, progetto nato in Albania per offrire opportunità di lavoro a donne in condizioni di difficoltà, e confezionati a Firenze dalla sartoria sociale Flo Manifacturing, sono convinta che sia possibile coniugare produzione di qualità ed equità sociale. Penso sia arrivato il momento di adottare, sia nella sfera personale sia in quella pubblica, comportamenti che creino condizioni per uno sviluppo incentrato sulla persona e sulla comunità.

Nel mio piccolo la sfida produttiva che mi pongo in questo momento è di andare oltre la ricerca del massimo profitto. Il profitto di per sé non risolve i problemi di un territorio e di una comunità. E’ necessario che il lavoro diventi un mezzo di crescita non solo personale, uno strumento per avvicinarci e sostenerci, in un momento storico così difficile. Parole come responsabilità, fiducia e solidarietà devono trovare sempre più spazio nel nostro quotidiano.