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Pensare la città: un momento decisivo che la cosa pubblica non può più dimenticare. Specie dopo la tragedia di Genova. La lezione del passato.
Genova: il lutto, la rabbia, il vuoto. È anche il momento di riflettere. Per quanto possibile a mente fredda.

Sicuramente hanno influito la troppa opacità nel rapporto ambiguo tra Stato e privati o gli scarsi controlli sulla manutenzione. Ma non è tutto. A vedere quel ponte di cemento che sorvola le case viene da domandarsi come sia stato possibile progettare un ponte in quel modo ma soprattutto pensare una città in quel modo. Stessa sorte ad alcune aree di Roma o di Napoli. Per citare un caso di scuola il Sacco di Palermo che ha spolpato la Conca d’Oro. 

Crollo di Genova

Il grande vuoto

Firenze no e comunque non in quel modo. Non con opere tanto invasive. Non con tanto cemento. A cosa si deve questa spiccata controtendenza? E non è stata solo una questione di grandezza della città.

Nonostante lo sviluppo tumultuoso di quegli anni, Firenze ha conservato una sua immagine, una sua riconoscibilità. Non è stato un caso. È stato frutto di una pianificazione: una scelta politica precisa. La Politica scelse di governare lo sviluppo del territorio. Di pensare la città tenendo conto del suo passato e della comunità umana.

Pensare la città: il Piano Detti

“La città è una casa comune” disse Giorgio La Pira sindaco di Firenze “in cui tutti gli elementi che la compongono sono organicamente collegati; come l’officina è un elemento organico della città, così lo è la Cattedrale, la scuola, l’ospedale. Tutto fa parte di questa casa comune. Vi è dunque una pasta unica” continuava “un lievito unico, una responsabilità unica che è collegata ai comuni doveri. Il nostro compito di guide delle città è pensare, è essenzialmente quello di meditare: se non meditiamo siamo soltanto dei direttori generali”.

La traduzione in pratica di questi nobili principi spettò a Edoardo Detti (1913-1984), architetto e urbanista. Egli si laureò nel 1940, Michelucci suo relatore di tesi. Partecipò nelle file dei socialisti alla Resistenza e dopo alla Commissione macerie (1951) per la ricostruzione dell’Oltrarno. Entrò in consiglio comunale proprio con il PSI e dal 1961 (in quegli anni era in corso l’esperimento del Centrosinistra organico) fu Assessore all’Urbanistica.

Il suo Piano è il lascito più importante. Ha indirizzato lo sviluppo verso l’area Nord-Ovest salvando le pregevoli colline rimaste sostanzialmente intatte. Ha gettato le basi per un’edilizia residenziale pubblica diffusa: non quartieri ghetto ma pochi edifici sparsi su tutto il territorio. Soprattutto con i suoi parametri stringenti ha salvato Firenze dalla speculazione. Dagli ecomostri.

Chi passando dal Piazzale si soffermerà, vedrà una città uniforme, dove il nuovo si concilia con l’esistente. Solo due edifici stonano con il panorama: uno in Piazza Leopoldo realizzato per l’appunto prima del piano Detti e il Palazzo di Giustizia di NovoliMa questa è un’altra storia.