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Impenetrabili torri d’argento IX

Il destino dei luoghi e i luoghi del destino

Spesso accade che sia l’immaginazione di un solo uomo a stabilire il destino di un luogo. Altrettanto spesso accade che sia un’opera d’arte ad identificarsi con il luogo nella quale è conservata. Sono casi in cui la storia di un’epoca, il genio degli uomini e la loro fantasia si sedimentano in un oggetto o in un monumento tanto da rendere quegli stessi oggetti e monumenti più emblematici di altri, in grado di significare più cose rispetto a quelle che inizialmente volevano rappresentare. Un destino, questo, che a Firenze si incontra ad ogni angolo.

Un gioco d’identità

Basta poco per far scattare il meccanismo: così Vasari ‘è’ il suo corridoio, Brunelleschi ‘è’ la sua cupola; ma entrambi – Vasari e Brunelleschi – significano pure altro: il corridoio evoca il granduca Cosimo I e la sua magnifica corte, la cupola il genio della prima generazione degli uomini dell’Umanesimo. Così la Galleria dell’Accademia significa quasi esclusivamente ‘David di Michelangelo’ e dunque il ‘tormento e l’estasi’ dell’età del Rinascimento, mentre la ‘Venere di Botticelli’ evoca immediatamente gli Uffizi, ma anche la signoria di Lorenzo il Magnifico, lo splendore della Firenze del Quattrocento, e poi pure Vasari, ricominciando daccapo.

Tags for Florence

Cosa significano allora nell’immaginario culturale comune le chiese fiorentine? Cosa evocano immediatamente i loro nomi? Quali sarebbero i tag con cui le commenteremmo, cercando di ridurre ad etichetta la loro storia millenaria? Non sempre è possibile dare una risposta. San Lorenzo forse ‘Medici’, ‘Brunelleschi’, ‘Michelangelo’; Santa Maria Novella invece ‘Masaccio’ e ‘Leon Battista Alberti’; ma cosa dire di Santo Spirito o di San Marco o di Santissima Annunziata? I riferimenti si fanno più sfumati, così come il profilo della storia di quei luoghi è meno conosciuto.

‘Ma più beata ché in un tempio accolte serbi l’itale glorie’

Per Santa Croce, forse invece, vale lo stesso discorso che per i più celebri monumenti fiorentini: infatti, oltre a ‘Giotto’, ‘Alluvione’, ‘Calcio Storico’, il tag più sicuro per la grande basilica francescana è senza dubbio ‘Tombe’. Ma non sempre è stato così; o meglio: non sempre Santa Croce è stata considerata il ‘Tempio dell’Itale Glorie’.

1806. Editto di Saint Cloud, ovvero ‘Sui cimiteri’

Nell’estate del 1806 un giovane poeta veneziano e un maturo intellettuale veronese si confrontarono animosamente sul dibattito che in quei mesi occupava l’opinione pubblica italiana: l’amministrazione napoleonica, che a quel tempo controllava quasi l’intera Europa continentale, voleva estendere le riforme francesi in materia di cimiteri a tutti i regni posti sotto il controllo di Napoleone. In quella riforma si vietava la sepoltura dei defunti all’interno dei centri urbani e dunque anche all’interno delle chiese cittadine, contrastando un uso che ormai si era consolidato da secoli e secoli.

Le ragioni del giovane poeta, entusiasta sostenitore delle riforme che avrebbero reso le città italiane più salubri, contrastavano con quelle dell’intellettuale che invece credeva che nel culto cristiano dei defunti si celasse un profondo senso di civiltà da difendere. Il giovane, dopo aver riflettuto per conto suo, giunse a più miti consigli e decise di ritrattare, almeno in parte, la sua posizione, componendo una lettera in versi che inviò all’amico: i due si chiamavano l’uno Ugo Foscolo, l’altro Ippolito Pindemonte. Ne nacque uno dei capolavori della poesia dell’Ottocento italiano ed europeo: il carme Dei Sepolcri.

‘A egregie cose il forte animo accendono l’urne de’ forti’

Proprio in quei versi, il giovane Foscolo rifletteva sulla necessità per gli uomini e i cittadini di conservare in alcuni luoghi la memoria delle generazioni passate, degli esempi luminosi di vite spese per il bene della civiltà e per il progresso umano nella scienza e nelle lettere, nella musica e nella pittura, nell’architettura e nella scultura. Soltanto dal dialogo e dall’ammirazione con quegli esempi poteva nascere, secondo Foscolo, lo sprone ad impegnarsi, la forza di emulare quei grandi esempi impegnandosi nel duro lavoro e nell’abnegazione ad una giusta causa.

Foscolo descriveva un dato di fatto: fra quelle mura erano conservate le sepolture dei grandi uomini del glorioso passato italiano:  Galileo e Michelangelo, Machiavelli e Leonardo Bruni. Forse non ci avrebbe creduto se gli avessero detto che i suoi versi avrebbero davvero fondato un mito e dato vita ad un progetto: dentro la basilica di Santa Croce, il tempio dei grandi del passato, si sarebbero riunite le spoglie delle più grandi menti italiane, i corpi degli uomini che con il loro lavoro e il loro esempio avevano reso grande l’Italia.

Fu creata addirittura un’apposita commissione per esaminare le richieste di traslazione: il suo presidente fu in un primo tempo il Granduca in persona. Così nel corso del XIX vennero portati in basilica i corpi del poeta Vittorio Alfieri, del drammaturgo Giovan Battista Niccolini, dell’architetto rinascimentale Leon Battista Alberti, dello storico e politico risorgimentale Gino Capponi, dell’inventore del motore a combustione Eugenio Barsanti, del grande compositore Gioacchino Rossini, mentre per Dante fu costruito un enorme cenotafio vuoto: la città di Ravenna continua a custodire gelosamente i resti del più celebre fra i figli rinnegati di Firenze. Lo stesso Ugo Foscolo trovò poi la propria ultima dimora in Santa Croce: nel 1871 con una grandiosa cerimonia il suo corpo fu sepolto con gli onori che gli spettavano, dopo che nel 1827 il poeta era scomparso in esilio e nella miseria più totale, dimenticato da tutti, in un grigio sobborgo di Londra.

Un poeta aveva descritto un luogo; un luogo aveva da qual momento realizzato il suo destino: essere il tempio delle ‘urne dei forti’, in una città che per questo era chiamata ‘beata’, baciata ancora una volta dalla fortuna: Io quando il monumento /  vidi […] / te beata, gridai, per le felici / aure pregne di vita, e pe’ lavacri / che da’ suoi gioghi a te versa Apennino! / Lieta dell’aer tuo veste la Luna / di luce limpidissima i tuoi colli / per vendemmia festanti, e le convalli / popolate di case e d’oliveti / mille di fiori al ciel mandano incensi.