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Impenetrabili torri d’argento II

Gli anni d’oro della Firenze del Duecento: Lapo, l’amico di Dante

Sembra paradossale, ma spesso è proprio in seguito a rovinose sconfitte, a catastrofi e a prove durissime che si hanno splendide rinascite che svelano capacità inaspettate e insospettabili creatività. Aveva forse ragione il filosofo tedesco Nietzsche che parlando di sé sosteneva che “Ciò che non mi uccide, mi fortifica”. E questo vale non solo per i singoli, ma anche per le comunità, per i popoli.

“Ciò che non mi uccide, mi fortifica”

Osservando la storia di Firenze sembra di poter dire che l’aforisma si adatti benissimo ai fiorentini: gente che in quanto comunità non si è mai scoraggiata di fonte alle prove della storia, alle minacce degli avversari e della natura, alle occupazioni straniere e alle sconfitte. Più forti, proprio perché offesi e violati, hanno alzato la testa e hanno ricostruito ciò che era stato distrutto, dando inizio ad epoche sempre nuove e dimostrando sempre di poter dare ancora qualcosa al mondo.

Un pericolo mortale

Verso la fine dell’estate del 1260 vicino Siena, i fiorentini subirono una delle sconfitte più disastrose della loro storia, in seguito alla quale l’esistenza stessa della città fu messa in pericolo. Nella battaglia di Montaperti per Firenze “lo strazio e ‘l grande scempio”, come dice Dante, fu totale: esercito sconfitto, il fiore della gioventù cittadina caduto, il destino della città in mano agli odiati senesi che promettevano di voler radere al suolo la città. La posta e gli interessi in gioco erano molti, ma in quell’occasione non solo Firenze si salvò, ma avviò un periodo di profondi mutamenti sociali ed economici, un periodo non privo di difficoltà e di contrasti, ma che regalò all’Italia e al mondo un tesoro inestimabile, fatto non di ricchezze materiali o di monumenti, ma fatto di poeti.

Gli anni della poesia fiorentina

Gli anni che vanno dalla sconfitta di Montaperti nel 1260 all’esilio di Dante iniziato nel 1301 vedono l’esplosione della poesia volgare fiorentina e l’assunzione da parte di Firenze di un ruolo centrale nella storia della letteratura della penisola italiana, che fino a quel momento aveva battuto altre strade, grazie ai testi di fiorentini oggi poco celebri: Chiaro Davanzati, Dante da Maiano, Monte Andrea, Rustico di Filippo. Sono questi i poeti che per primi utilizzarono a Firenze e in fiorentino i temi, gli stili e le forme metriche della poesia della Scuola siciliana e della tradizione provenzale.

Ma quegli sono anche gli anni in cui a Firenze nacquero, si formarono e iniziarono a scrivere Guido Cavalcanti, Lapo Gianni e Dante Alighieri, esponenti di quel modo di fare poesia d’amore che lo stesso Dante definì Stilnovo. Un’epoca di ricchezza e di creatività, nella quale Dante ancora non aveva iniziato il capolavoro della “Commedia”, scriveva rime, leggeva quelle degli amici, viveva e camminava ancora per le strade di una Firenze vivacissima e piena di stimoli.

Amore, eo chero avere mia donna ‘n domìno

Tra i tre amici che con Dante furono i più fedeli servitori di Amore e tra i poeti che più eccelsero nella poesia, certamente il meno noto è Lapo Gianni. Per l’esattezza Lapo di Gianni Ricevuti da Firenze, di professione notaio, esponente di una classe borghese di funzionari pubblici in ascesa, autore di diciassette rime giunte fino a noi

E’ ricordato da Dante in un famoso sonetto: “Guido i’ vorrei che tu e Lapo ed io”, in cui Dante, in poche parole, dice che la cosa che più desidera al mondo è stare con i suoi migliori amici, insieme alle rispettive donne, ragionando sempre di Amore e godendo del desiderio sempre rinnovato di stare insieme, senza che nessuna preoccupazione possa turbare il loro idillio. È la stessa atmosfera di pace, serenità e gioia che Lapo evoca in un suo sonetto in cui tuttavia il sogno di evasione di Dante assume i contorni precisi di una città in cui la gioia, la serenità e tutta la bellezza della vita sembra racchiudersi: ancora una volta quella “Firenze d’argento” dove i tre amici erano nati e cresciuti. “Amore, il mio unico desiderio è avere vicino a me queste cose: la mia donna e…”, così comincia il sonetto di Lapo:

“Amore, eo chero avere mia donna ‘n domìno,
l’Arno balsamo fino,
le mura di Firenze inargentate,
le rughe di cristallo lastricate…”