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Le serie americane, sono sempre state seguite e soprattutto amate, da un pubblico internazionale. Qual’è il segreto di così tanto successo ? Ci risponde Margherita Corsi, giornalista ed esperta di serie tv

Chi di voi non ha mai seguito un telefilm, una serie tv o un serial tv ?

A dire il vero, i tre termini appena citati, fanno riferimento ad un loro preciso significato ma, all’oggi, si utilizzano ormai come sinonimi.

E’ necessario fare un salto nel passato e ricordare i “Feuilettons” – romanzi che venivano pubblicati periodicamente su riviste – già dal 1800, passando successivamente per  radiogrammifumetti e saghe cinematografiche.

A livello narrativo, non vi era nulla di nuovo, se non il mezzo di comunicazione attraverso il quale queste storie venivano diffuse: la televisione, che permise di raggiungere, in un tempo relativamente breve, il grande pubblico popolare.

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La nascita della serie tv: dagli anni ’50 ai giorni nostri

Anni ‘50

Il primo telefilm d’aurore “Alfred Hitchock” andò in onda nel 1955 sul network CBS ma già qualche anno prima, nel 1951, era stata trasmessa in prima serata “I love Lucy” (in Italia “Lucy ed io”), considerata la prima vera sit-com americana di intrattenimento, che narrava la vita quotidiana della protagonista Lucille Ball e che, in poco tempo, riscosse enorme successo.

Insieme ai filoni di intrattenimento, nacquero anche le prime serie dedicate alla fantascienza accompagnate anche  dal genere del “thriller”.

Anni ‘60

Prende piede “La science fiction” e grazie a “Star Trek” si incoraggia l’innovazione tecnologica, ispirando gli scienziati ad “imitare” i congegni nati dalla fantasia degli sceneggiatori, ovvero la voglia di conoscere e affrontare l’ignoto.

In parallelo nascono serie più concrete come “Gli intoccabili” e “Il fuggitivo”, che davano vita a dei veri e prori eroi quotidiani come medici, avvocati, poliziotti, ecc …

Ricordiamo: “Il tenente Colombo”, il “Doctor Who” e “Gilligan’s Island” e sempre in quel periodo, fra le serie comiche più note c’erano “Benny Hill Show” e nacquero contemporaneamente narrazioni dedicate a personaggi dei cartoni come “Batman” (senza effetti speciali) e “La Famiglia Addams”, che a aggiungevano oltre alla trama orizzontale, il concetto di introspezione.

Anni ‘70

Grazie ad un’ulteriore emancipazione femminile,  entra in campo la figura femminile come eroina e vi sono nuovi personaggi come “La donna bionica” e le “Charlie’s Angels”, sfatando – in qualche modo – il mito della donna bella ma poco intelligente: infatti, le protagoniste sono bellissime e dotate di un’intelligenza straordinaria.

Cambia la società, non solo per la donna, ma anche nei riguardi del razzismo: basta ricordare “I Jefferson”, “Le strade di San Francisco” , che vede fra i protagonisti un giovane Michael Douglas e con “Starsky & Hutch”, in cui 2 poliziotti combattono quotidianamente contro il degrado urbano.

Anche la famiglia, diviene un nuovo tema da trattare con “Happy Days” , “La casa nella prateria” e riceve sempre più attenzione l’amore, come sentimento universale da trattare e, gli sceneggiatori sfornato prodotti televisivi come “Dallas” e “Love Boat”.

Anni ‘80

Temi come l’amore, la famiglia e gli eroi (sia uomini che donne) avevano già travolto milioni di spettatori che passavano parte del loro tempo a seguire i propri beniamini.

Continua in qualche modo, la scia del poliziesco con il detective, eternamente squattrinato, Thomas Magnum e il fisico nucleare capace di costruire un carrarmato con un paio di forbici, Angus McGyver.

Altre serie come “Supercar”, “Matlock” o il “Cosby Show” furano utilizzate come trampolino di lancio per “Baywach” (il pubblico maschile ricorderà  senz’altro la sex symbol Pamela Anderson) e “Fame” (la nota saga di “Saranno famosi”) che hanno contribuito alla nascita di serie televisive che imperniavano all’interno del proprio plot il “teen drama” e il “musical”.

Anni ‘90

In questi anni, è doveroso citare i “Simpson” che hanno superato brillantemente le 20 stagioni  televisive, grazie ad un mix di ironia, dialoghi esilaranti e gag pungenti. La serie, formata dalla “colorata” famiglia “Simpson”, è tuttora un traguardo televisivo fra i più celebri nel mondo della “cartoon tv”.

Finalmente, le serie tv non sono più un prodotto per “riempire” i palinsesti ma assumono una funzione, sempre più moderna, per un’efficace comunicazione sociale.

In questo periodo, riscosse un grande successo “Beverly Hills 90210” che raccontava le avventure (non solo sentimentali) dei gemelli Brandon e Brenda e della loro simpatica cerchia di amici, incarnando perfettamente la vita dei teenager dell’epoca; seguì in parallelo – sulla stessa lunghezza d’onda – anche “Merlose Place” che vedeva fra i suoi protagonisti il bellissimo Grant Show, che interpretava il motociclista/bad-boy Jack Hanson.

Anni 2000

Con il nuovo millennio, le offerte televisive riescono a livellarsi – quasi – come quelle del cinema, grazie a progetti come: “J.J. Abrams”, “Alias”, “Lost” e “Fringe”. Ricordiamo anche la simpatica famiglia de “I Soprano” che incentrava la propria comicità su un’ironia “malavitosa”.

Continuano le rivisitazioni di generi già proposti, come il “medical drama”  con il “Dr. House” e torna alla ribalta la categoria femminile con “Sex and the City” in cui le protagoniste – fra cui una meravigliosa Sarah Jessica Parker – lanciano una nuovo modello di donna: dal look ad nuovo “savoir-faire”, senz’altro più disinibito, sexy e pungente.

Fonte: “Ninja Marketing”:

http://www.ninjamarketing.it/2011/05/13/storia-ed-evoluzione-delle-serie-tv-history/

Intervista a Margherita Corsi

Dopo aver raccontato, seppure in maniera molto approssimativa, l’escalation della serie tv, abbiamo intervistato la Dott.ssa Margherita Corsi, giornalista ed esperta di serie televisive americane che cura il celebre blog “The serialist” sulla nota rivista Vanity Fair.

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Come mai le serie televisive americane piacciono così tanto ? Hanno qualcosa in più che le nostre non hanno ?

Le differenze sono tante: scrittura originale, creativa, irriverente, produzioni curatissime, budget alti, attori eccellenti. Fare un paragone fra le serie italiane e quelle americane è molto difficile, perché sono frutto di contesti completamente diversi. Negli Usa c’è una vera e propria industria televisiva: studios, centinaia di canali, altrettante case di produzione.

Questo business comporta la produzione di dozzine di show all’anno, mantiene alta la competizione, di conseguenza la qualità, e attrae i migliori talenti da tutto il mondo. Inoltre, sulle reti via cavo (come Hbo, Showtime, Starz) non c’è la censura a cui in Italia vengono sottoposte le serie che vanno in onda in chiaro, gli autori possono osare molto di più. Il servizio pubblico italiano è appiattito su pochi format, visti e rivisti, che vanno bene per il pubblico generalista (vedi Don Matteo), ma si può puntare più in alto ed è un peccato non dare agli spettatori una scelta più ampia.

 Qual’è la serie televisiva americana più amata dagli italiani ?

Bisognerebbe avere dati recenti alla mano, e dovrebbero includere i download illegali. So che Grey’s Anatomy spopola, così come i procedural alla NCIS, ma anche Il Trono di Spade è un fenomeno (credo, però, che sia più seguito in streaming che su Sky Atlantic). Ovviamente, c’è sempre Beautiful, ma quello rientra nella categoria delle soap opera.

Qual’è, secondo Lei, la serie televisiva italiana che potrebbe avere successo negli Stati Uniti ?

 Sono curiosa di vedere come sarà accolta The Young Pope di Paolo Sorrentino, è prodotta da Sky assieme a Hbo e Canal +. Gli americani amano Sorrentino e il protagonista è un volto noto come Jude Law. Ora invece parte Gomorra, su Sundance Tv. Basta ricordare che siamo su canali/prodotti per un audience di nicchia. Credo che Romanzo Criminale sarebbe piaciuto, Starz doveva fare l’adattamento americano, ma non ne ho più sentito parlare. 

Biografia di Margherita Corsi

Nata a Pordenone e laureata in Lettere Moderne alla Cattolica di Milano. Dopo il Master di Giornalismo della Scuola Walter Tobagi, inizia a lavorare per Vanity Fair nel 2010, anno in cui diventa giornalista professionista. Durante i tre anni nella redazione milanese, scrive e si appassiona sempre di più alla serialità americana. Questo la porta a trasferirsi a New York nel 2013 per conseguire un secondo Master in “Television Business and Programming” alla New York University (che conclude con una tesi su Netflix). Ha lavorato come curatrice nel dipartimento televisivo del Paley Center for Media e nella casa di produzione Jarrett Creative. Continua a scrivere di televisione per Vanity Fair.

Il blog “The Serialist” di Margherita Corsi

http://theserialist.vanityfair.it/